Cessione dello studio o della clientela? Il perimetro dell’operazione e le sue ricadute Iva
di Simona Baseggio e Barbara Marini
Con la risposta n. 311/2025, l’Agenzia delle Entrate torna sul delicato tema del trattamento fiscale della cessione di clientela da parte del professionista in procinto di cessare l’attività. Il caso sottoposto all’Amministrazione riguarda un commercialista intenzionato a trasferire, a fronte di corrispettivo rateale, il proprio pacchetto clienti “cedibile” (ossia legato a contratti di consulenza), in vista del pensionamento e della chiusura della partita Iva. L’istante esclude la cessione di beni materiali e immateriali di studio, ormai ammortizzati o non trasferibili, e chiede se tale operazione (di cessione della sola clientela) possa beneficiare dell’esclusione da Iva ex articoli 2, comma 3, lett. b), del Dpr n. 633/1972, come modificato dal Dlgs n. 192/2024.
La risposta è negativa.
Per rientrare nel regime di irrilevanza ai fini Iva, è necessario che l’operazione abbia per oggetto un “complesso unitario” di attività materiali e immateriali, incluso ogni passività, idoneo e organizzato per l’esercizio dell’attività artistica o professionale. La sola cessione di un pacchetto clienti, per quanto economicamente significativa, non integra tale requisito: si tratta di una prestazione di servizi imponibile, configurata come obbligo di non fare (non proseguire il rapporto con i clienti ceduti) e di fare (favorire il subentro del cessionario).
Il punto decisivo è quindi la configurazione sostanziale dell’operazione. Se la cessione riguarda l’intero studio professionale, allora si è fuori dal campo di applicazione dell’Iva. Se invece l’oggetto è limitato al solo portafoglio clienti, l’operazione resta pienamente imponibile. Un discrimine netto che il professionista, specie in fase di cessazione dell’attività, è chiamato a valutare con grande attenzione.
Più discutibile, invece, è la posizione assunta dall’Agenzia in merito alla necessità di mantenere aperta la partita Iva fino all’incasso dell’ultima rata del corrispettivo pattuito per la cessione della clientela, previsto nell’arco di tre anni. Nel caso di fatturazione integrale del corrispettivo al momento della stipula del contratto, con contestuale assolvimento dell’Iva e cessazione dell’attività, non si comprendono le ragioni che impongano la permanenza dell’apertura della partita Iva per ulteriori tre anni.
In un sistema improntato al principio di cassa, il professionista può senz’altro riportare i ratei nei rispettivi periodi d’imposta, dichiarandoli come redditi professionali, anche a partita Iva chiusa. Diversamente, si tradurrebbe un mero profilo finanziario (l’incasso posticipato) in un ennesimo adempimento non giustificato.
In conclusione, la risposta dell’Agenzia offre un chiarimento utile su un punto di diritto ormai consolidato, ma introduce, sul piano operativo, una rigidità che rischia di gravare inutilmente sul contribuente, laddove invece sarebbe auspicabile una soluzione più equilibrata tra esigenze di controllo e semplificazione.


