Alla fine, proroga fu. I soggetti che hanno presentato istanza di ammissione al regime di Adempimento Collaborativo tra il 2024 e il 2025, che fino a ieri avevano l’obbligo di ottenere la certificazione del proprio sistema di controllo interno del rischio fiscale entro la fine dell’anno per avviare l’istruttoria di ammissione, possono tirare un sospiro di sollievo: il termine sarà prorogato al 30 settembre 2026.
La versione definitiva del decreto (legislativo) correttivo Irpef/Ires, all’articolo 14, deroga infatti all’obbligo di allegare la certificazione al pacchetto documentale necessario per avviare l’istruttoria di ammissione previsto dal novellato articolo 7 comma 2 del D.lgs. 128 del 5 agosto 2015, consentendo all’Agenzia delle entrate di procedere all’ammissione dei contribuenti anche in assenza della certificazione del sistema di controllo del rischio fiscale (Tax Control Framework o TCF), che potrà essere trasmessa successivamente, entro, appunto, il 30 settembre 2026. Nel medesimo articolo viene confermata la centralità della certificazione, la cui mancata presentazione oltre il nuovo termine costituirà causa di esclusione dal regime, per “inosservanza degli impegni assunti” ai sensi dell’articolo 7 comma 3 del medesimo Decreto 2015.
Fino a ieri, difatti, le istruttorie di ammissione per le decine di società che avevano presentato istanza successivamente all’entrata in vigore della riforma del regime erano sospese e le imprese si trovavano in uno scomodo limbo tra l’obbligo di trasmettere la certificazione e l’impossibilità di adempiervi per il limitato numero di certificatori abilitati. Ai sensi dell’articolo 5 del Decreto Ministeriale del 6 dicembre 2024, infatti, l’istruttoria poteva essere avviata solo al ricevimento di tutti i documenti obbligatoriamente allegati all’istanza di ammissione, elencati nell’articolo 4 del medesimo decreto, tra cui la certificazione rilasciata da un professionista abilitato e indipendente.
Nell’ottica di accelerare le istanze di ammissione, il legislatore, da una parte aveva delegato ai certificatori l’analisi approfondita dei sistemi di controllo del rischio fiscale, prima svolta dall’Agenzia delle entrate ex post, e, dall’altro, obbligava la stessa Agenzia a concludere l’istruttoria entro 120 giorni dalla ricezione del pacchetto documentale completo. Nella pratica, la riforma ha portato a una sospensione delle ammissioni per quasi due anni, bloccando le istruttorie dell’Ufficio Adempimento Collaborativo e lasciando in sospeso le decine di aziende che, dopo avere investito tempo e risorse per presentare l’istanza di ammissione, non potevano avviare l’istruttoria e le interlocuzioni con l’Ufficio competente senza aver prima ottenuto la certificazione del TCF.
Ripercorrendo i tempi, è evidente come questa proroga non era solo attesa, ma necessaria, non solo per le imprese e i professionisti, ma non da ultimo, per l’Amministrazione Finanziaria.
L’obbligo di certificazione è stato introdotto con il D.lgs. 221 a fine 2023.
Poi si sono susseguiti nel 2024 vari decreti ministeriali operativi per definire procedure, contenuti, tempistiche sempre più stringenti, ma senza rendere operativo il sistema di certificazione.
A fine 2024, il 6 dicembre, un decreto, nelle disposizioni transitorie, ha fissato il termine di presentazione della certificazione al 31 dicembre 2025, con la precisazione che i 120 giorni per il perfezionamento dell’istruttoria di ammissione (definiti dall’articolo 7, comma 2, del D.lgs. 128/2015) decorrono dalla data di presentazione della dichiarazione.
Nel 2025 sono stati pubblicati i primi documenti operativi. Ad aprile, il Ministero dell’Economia e delle Finanze, l’Agenzia delle entrate e gli Ordini professionali (CNF e CNDCEC) hanno sottoscritto il protocollo per la formazione dei certificatori, mentre nei mesi successivi i singoli Ordini hanno approvato i propri regolamenti.
Dopo quasi due anni, però, ancora nessun certificatore.
Fissata la dead-line della certificazione, le società interessate hanno infatti dovuto attendere fino a settembre 2025 che fossero pubblicati sul sito dell’Agenzia delle entrate i primi elenchi, per tentare di capire se, tra lo sparuto numero di professionisti abilitati, fosse possibile individuare un certificatore che, oltre alle formalità e alle competenze tecniche, rispettasse i requisiti di indipendenza e fosse disponibile a certificare nei tempi di legge.
I numeri parlavano chiaro: mission impossibile! I primi 33 certificatori, cui si sono aggiunti ad ottobre 25 avvocati e 29 commercialisti, avrebbero dovuto certificare gli 82 soggetti “sospesi” nel 2024, ma anche le 142 società già ammesse, obbligate ad attestare l’efficacia del proprio sistema di controllo interno entro il 31 dicembre 2026.
Già prima dell’estate il vice-ministro Leo, aveva raccolto le preoccupazioni delle imprese e dei professionisti e promesso una proroga del termine, prima al 30 giugno e poi, in interventi più recenti, alla data effettivamente riportata nel decreto correttivo: 30 settembre 2026.
Proroga che, come purtroppo spesso accade, è arrivata a ridosso della scadenza, costringendo nel frattempo le società a prendere decisioni in un contesto di urgenza e incertezza, in bilico tra il rispetto della scadenza (perentoria fino a proroga) e l’obiettiva difficoltà, totalmente esogena, di adempiere al nuovo, sconosciuto e oneroso, obbligo. Per un Regime Adempimento Collaborativo con il dichiarato obiettivo di fornire certezze ai contribuenti, urgenza e incertezza non sono propriamente il biglietto da visita ideale. Oltre alla difficoltà di selezionare un professionista, verificarne i requisiti di indipendenza, non bisogna dimenticare infatti che, trattandosi di società strutturate, anche l’iter interno di selezione di un fornitore “strategico” come il Certificatore richiede tempi tecnici non comprimibili, che inevitabilmente erodono il tempo effettivamente a disposizione dei certificatori per svolgere tutte le articolate attività previste dai diversi decreti pubblicati tra il 2024 e il 2025 per valutare il design del TCF.
Entrare nel merito di un sistema di controllo del rischio fiscale complesso, integrato con eventuali altri sistemi di gestione del rischio d’impresa (si pensi al Modello 231 o al Modello 262), assumendosi in prima persona la responsabilità di certificarne la correttezza del Design e la sua conformità alle norme e alla prassi che si stanno ancora sviluppando, non è un’attività semplice né, tantomeno, che si può svolgere in qualche settimana. Si pensi, ad esempio, agli aspetti più critici e meno definiti, quali le modalità di presidio dei rischi fiscali derivanti dall’applicazione dei principi contabili per le società prive di un modello di informativa finanziario-contabile, ma, soprattutto, ai vincoli di indipendenza imposti dal legislatore non solo per il Certificatore, ma per tutta la struttura a supporto, che prevedono il divieto assoluto di avere qualsiasi tipo di conoscenza pregressa del modello che sono chiamati a certificare.
Lo sanno bene le imprese, che per costruire il proprio modello e adattarlo alle Linee Guida hanno investito importanti risorse economiche e umane, sia interne che esterne, e mesi di lavoro (e che ora devono ripercorrere tutto il processo, con nuovi costi e qualche incertezza).
Lo sanno i professionisti, che, mentre acquisiscono l’abilitazione con corsi di prossimo avvio organizzati dagli Ordini di appartenenza, si stanno già organizzando per strutturare un piano di lavoro solido e realistico, in grado di creare valore aggiunto per il cliente e di rendere la certificazione non un mero adempimento, ma un valido supporto per le imprese e per l’Amministrazione nell’evoluzione del Regime e di una cultura Fisco-Contribuente improntata sul dialogo e sulla collaborazione.
Lo sa l’Agenzia che, nelle more della formalizzazione della proroga, ha iniziato a contattare le società istanti per avviare le interlocuzioni dell’istruttoria di ammissione, ritrovandosi, almeno in parte, a svolgere nuovamente le attività di analisi che la norma, a regime, ha delegato ai certificatori.
Come tutte le fasi di transizione, quindi, è stato necessario l’intervento del legislatore per aggiustare le tempistiche. L’auspicio è che questa esperienza e le inevitabili tensioni generate dalle lungaggini con cui è stato implementato il sistema della certificazione siano un monito, per le prossime riforme, a considerare tutti gli aspetti organizzativi ed economici che hanno un impatto reale su imprese e professionisti e di implementare gli interventi normativi in modo più razionale e coerente, al fine di sostituire incertezza e urgenza con un sistema basato sulla chiarezza, sulla coerenza con la ratio normativa e sul rispetto delle necessità organizzative dei soggetti impattati, per costruire, davvero, un rapporto tra Fisco e Contribuente basato sulla certezza e sulla fiducia reciproca.


