Certificatori TCF: tra prestigio, rischio e responsabilità professionale
di Marco Cramarossa e Chiara Forino
Se domani ti dicessero che, grazie al tuo titolo di studio, potresti ottenere il brevetto di pilota senza fare alcun corso, accetteresti, anche se non sei mai riuscito a governare neanche un aquilone in spiaggia?
Lasciamo sullo sfondo questo inquietante interrogativo che sembra tratto dal film l’“Aereo più pazzo del mondo”, per ricordare che, in base al protocollo d’intesa siglato l’11 aprile 2025 tra Agenzia delle entrate, Ministero dell’Economia e delle Finanze e gli Ordini professionali coinvolti (i.e. CNF e CNDCEC), è già avvenuto il primo popolamento dell’Elenco dei professionisti abilitati a rilasciare la certificazione del sistema integrato di rilevazione, misurazione, gestione e controllo del rischio fiscale, noto anche come Tax Control Framework (TCF), adottato dalle società interessate o già ammesse al Regime Adempimento Collaborativo. Un’attività che richiede competenze in diritto tributario, principi contabili e sistemi di controllo interno e di gestione dei rischi.
Al netto delle ipotesi di immediata iscrizione nel ridetto elenco in virtù delle esenzioni regolamentate, la maggior parte dei professionisti, in attesa dell’avvio dei corsi obbligatori abilitanti (per i quali il CNDCEC ha ufficializzato, con un comunicato stampa di ieri, l’apertura delle iscrizioni per i dottori commercialisti, dal 20 al 30 ottobre), si trova comunque ad affrontare a monte un altro dilemma: vale la pena prendere questa abilitazione, affrontando un corso di 80 ore su tematiche trasversali ai due ordini professionali, per offrire ai propri clienti questo servizio?
Per tornare alla metafora di apertura, significherebbe prendere il brevetto di volo per un Airbus dopo un corso sul Codice di Navigazione con qualche ora di simulazione di volo. Certo, sono le basi, ma si dubita che qualcuno possa sentirsi a proprio agio a pilotare un aereo con centinaia di passeggeri dopo un singolo corso. A non voler pensare cosa direbbero i passeggeri di quello stesso aereo! Eppure, sebbene con le dovute differenze in termini di sicurezza e vite umane, certificare un sistema di controllo interno del rischio fiscale non è meno complesso che affrontare la plancia di un grande aeroplano. È un’attività articolata, che richiede competenze multidisciplinari, al punto che lo stesso legislatore ha previsto, da un lato, la necessità di una valutazione interna sull’affidabilità organizzativa e tecnica a disposizione del professionista in termini di tempo e risorse e, dall’altro, la possibilità di avvalersi delle competenze e capacità professionali di altri professionisti, fermo restando che “la certificazione è redatta e sottoscritta dal professionista abilitato, incaricato al rilascio della certificazione”.
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