Cedolare secca e conduttore impresa: un'interpretazione (quella del Mef e della prassi) discutibile
di Simona Baseggio e Barbara Marini
Nel labirinto dell’interpretazione fiscale vi sono diversi snodi che generano cortocircuiti normativi e incertezze applicative. Un caso, oramai emblematico, è quello della cedolare secca applicata ai contratti di locazione abitativa quando il conduttore non è una persona fisica, bensì un’impresa. Tema su cui si è pronunciato il Mef il 26 marzo in risposta ad un’interrogazione parlamentare in Commissione Finanze alla Camera.
La disposizione di riferimento è l’articolo 3 del Dlgs 23/2011, che consente al locatore persona fisica, fuori dall’esercizio di impresa o professione, di optare per un’imposta sostitutiva – la cd. “cedolare secca” – in luogo dell’Irpef ordinaria, nonché dell’imposta di registro e bollo. Il comma 6 del medesimo articolo stabilisce che tale regime non si applica “alle locazioni […] effettuate nell’esercizio di un’attività d’impresa, o di arti e professioni”.
Il punto controverso – e oggi terreno di scontro tra giurisprudenza e prassi amministrativa – è se l’esclusione riguardi anche i contratti in cui, ferme restando la natura di soggetto privato del locatore e la destinazione abitativa dell’immobile locato, il conduttore sia un’impresa.
La posizione dell’Agenzia delle Entrate, espressa sin dalla circolare 26/E del 2011 e ribadita nella recente risposta della Direzione Regionale Toscana (n. 911/7/2025 del 27/02/2025), è ferma: l’attività d’impresa (o professionale) del conduttore rende inapplicabile la cedolare secca, anche se la locazione è abitativa nella sua sostanza e il locatore è un soggetto non imprenditore. Un’ermeneutica rigida, fondata su un’estensione soggettiva del divieto che la norma testuale non legittima espressamente.
In aperto contrasto con tale lettura si pone la sentenza della Cassazione n. 12395 del 7 maggio 2024, destinata a diventare pietra angolare del dibattito. In essa, la Suprema Corte smonta l’assunto dell’Amministrazione, affermando con nettezza che l’opzione per la cedolare spetta al locatore, e che la qualità soggettiva del conduttore non può incidere su un’opzione fiscale che ricade interamente nella sfera giuridica del primo. Il contratto, pur se stipulato con un’impresa, resta un contratto di locazione abitativa, e come tale, in presenza dei presupposti oggettivi e soggettivi del locatore, deve poter fruire del regime agevolato.
Ed è proprio questa la prospettiva che, a ben vedere, appare più coerente col dettato normativo. Il comma 1 dell’articolo 3 del Dlgs 23/2011 attribuisce l’opzione per la cedolare esclusivamente al locatore persona fisica che non agisce nell’esercizio d’impresa arti o professioni. Il successivo comma 6 preclude l’applicazione del regime alle locazioni effettuate nell’esercizio di un’attività imprenditoriale o professionale: locuzioni che, per coerenza semantica e sistematica, vanno riferite al soggetto attivo del contratto, ossia al locatore, e non al conduttore. La norma, infatti, nulla dice circa la natura del conduttore, né potrebbe legittimamente subordinare il trattamento fiscale di un soggetto (il locatore) a fatti giuridici e qualificazioni soggettive che si collocano fuori dalla sfera di controllo di quest’ultimo. Ritenere che l’attività del conduttore incida sull’accesso al regime, significa introdurre, per via interpretativa, una condizione di esclusione non prevista dal legislatore. La stessa ratio della cedolare, che si muove nell’ottica di agevolare l’offerta di immobili abitativi nel mercato privato e semplificare gli adempimenti, è pienamente compatibile con fattispecie nelle quali l’utilizzatore finale – seppur non parte diretta del contratto – sia comunque un privato, come un dipendente o un collaboratore dell’impresa conduttrice.
In tale contesto, lo scorso 26 marzo, nel corso di un’audizione presso la Commissione Finanze della Camera, è stata rivolta al Governo una precisa interrogazione volta a sollecitare un intervento chiarificatore. L’occasione, tutt’altro che marginale, è stata il tentativo – lucido e formale – di ottenere una posizione ufficiale che potesse uniformare la prassi agli approdi interpretativi della giurisprudenza di legittimità. Il quesito è stato netto: il Governo intende intervenire per rendere applicabile la cedolare secca anche nei casi in cui il locatario sia un’impresa che destina l’immobile a finalità abitative?
La risposta del MEF, tuttavia, non ha fatto che ribadire la chiusura dell’Agenzia delle Entrate: la sentenza della Cassazione è stata definita “un precedente isolato”, e si è precisato che esistono ancora decisioni di merito, anche successive, che si sono discostate da quell’indirizzo. Da ciò, la conclusione che ogni eventuale aggiornamento della prassi sarà subordinato a un consolidamento della giurisprudenza.
Una presa di posizione, questa, che solleva non poche perplessità. È certamente vero che si registra una persistente disomogeneità nella giurisprudenza di merito; ma l’idea che si debba attendere una “cristallizzazione” giurisprudenziale, come se fossimo in un sistema di common law, appare incoerente con l’architettura del diritto italiano.
Nel frattempo, la conseguenza è chiara: i contratti di locazione abitativa con conduttore impresa restano prigionieri di un’ambiguità normativa che impedisce scelte consapevoli e ragionevolmente prevedibili dal punto di vista fiscale. Non è una questione di mera teoria: se il sistema non consente di sapere, con un grado minimo di affidabilità, quale sarà il trattamento tributario di una specifica fattispecie, viene meno quella funzione ordinante del diritto che dovrebbe costituirne la principale ragion d’essere.