Causa Tasoncom v. Moldavia, per la Corte Edu il giudicato penale di assoluzione vale anche se il processo tributario è terminato prima di quello penale
di Alberto Calzolari
E’ ricchissima di spunti per il difensore tributario la sentenza resa dai giudici di Strasburgo in una causa relativa al diritto di detrazione dell’Iva (e della deduzione dei costi connessi), esercitato da una società moldava inconsapevole del fatto che le società fornitrici non fossero più soggetti passivi Iva al momento dell’effettuazione degli acquisti.
In Corte EDU 22.10.2024, Causa Tasoncom Srl v. Moldavia, i giudici di Strasburgo hanno riaffermato un principio ormai consolidato nel sistema Iva, secondo cui gli acquirenti in buona fede non possono essere ritenuti responsabili degli inadempimenti dei fornitori non in regola fiscalmente. E in effetti la Corte EDU ha rammentato i suoi precedenti al riguardo, a partire dal leading case sul diritto alla detrazione dell’Iva, di cui a Corte EDU 22.1.2009, Causa Bulves AD v. Bulgaria, ove il Governo bulgaro era stato condannato per violazione dell’articolo 1P1 della CEDU, ossia del diritto al pacifico godimento dei propri beni. Largamente sovrapponibili, infatti, risultano gli elementi fattuali dei due casi, essendo dimostrato che l’acquirente non era in grado di conoscere l’irregolarità delle fatture ricevute: la Corte EDU ha ribadito che il cliente in buona fede non può sopportare le conseguenze del comportamento negligente o illecito del fornitore, altrimenti risulta violato il principio di proporzionalità, ossia uno dei tre requisiti che, ex articolo 1P1 CEDU, rendono legittima la compressione del diritto di proprietà realizzata dallo Stato (gli altri due essendo rappresentati dal fine della pubblica utilità e dalla legittimità della norma che comprime il diritto in parola, da intendersi nei termini del rispetto della riserva sostanziale di legge).
All’esito di una verifica fiscale, l’Af moldava aveva ritenuto che Tasoncom avesse violato la normativa Iva sul diritto alla detrazione (le fatture dei fornitori, ancorché formalmente regolari, erano state emesse dopo che i fornitori non risultavano più soggetti passivi Iva) e la normativa sulle imposte sui redditi, in quanto i costi dedotti trovavano giustificazione su fatture inesistenti dal punto di vista sostanziale. La Srl moldava risultò pertanto destinataria di un atto di accertamento che comprendeva il recupero di circa 1 milione di euro di imposte, oltre all’irrogazione di 350mila euro di “penali di mora” e di altri 350mila euro di sanzioni amministrative. In questa sede manca lo spazio per descrivere le intricate vicende processuali che hanno coinvolto Tasoncom, con un processo penale che ha affiancato lo svolgimento del processo tributario, e con un ricorso per revocazione che ha visto soccombente la medesima Tasoncom, vicende che hanno condotto la società moldava a presentare ricorso alla Corte EDU, contestando la violazione, oltre che dell’articolo 1P1, anche dell’articolo 6.1, ossia del diritto di accesso a un tribunale (indipendente, imparziale e costituito per legge) per vedere soddisfatta una domanda di giustizia.
Come già evidenziato, la società ricorrente ha ottenuto il riconoscimento della violazione del diritto al pacifico godimento dei propri beni, ma in questa sede merita particolare attenzione il contemporaneo riconoscimento della violazione del citato articolo 6.1. Cercando di sintetizzare il percorso giudiziale interno, occorre sottolineare che Tasoncom Srl era risultata, in sequenza, vincitrice nel primo grado del processo tributario, condannata nel giudizio di primo grado penale, soccombente nel secondo (e ultimo) grado tributario, e infine assolta nel processo penale con formula piena (perché il reato non sussiste). Occorre altresì precisare che ci troviamo al cospetto di due procedimenti che si sono svolti su binari paralleli, aventi ad oggetto l’idem factum materiale, e dunque siamo di fronte a una patente violazione dell’articolo 4P7 della CEDU (diritto al ne bis in idem, di cui all’articolo 4 del Protocollo n. 7 della CEDU).
La Corte EDU rileva infatti che anche se i due procedimenti (tributario e penale) si sono svolti in stretta connessione temporale (cosa che raramente accade nel doppio binario italiano), non si può affermare che i due procedimenti sanzionatori mirassero a perseguire aspetti diversi e complementari del medesimo fatto illecito (come nemmeno accade nel bis in idem penaltributario italiano), e quindi manca la stretta connessione materiale che consente di legittimare il doppio binario tributario e penale (gli altri tre requisiti della stretta connessione materiale sono stati solo accennati dai giudici di Strasburgo, relativamente quindi alla prevedibilità dell’assoggettamento a un duplice procedimento, alla sostanziale unicità dell’attività istruttoria e alla proporzionalità complessiva delle sanzioni irrogate all’esito dei due processi). Tuttavia, la difesa di Tasoncom non ha contestato la violazione del ne bis in idem davanti ai giudici nazionali, quindi non avrebbe potuto farlo neppure nel ricorso alla Corte EDU (peraltro il primo processo concluso è stato quello tributario, terminato con la conferma dell’accertamento, quindi nel caso in esame risulta ineccepibile la strategia difensiva adottata dalla società ricorrente).
La difesa di Tasoncom si è viceversa lamentata dell’esito del processo per revocazione, laddove la Corte Suprema di Giustizia moldava aveva respinto il ricorso della società, che evidenziava come, a fronte dell’idem factum materiale, la Corte moldava avrebbe dovuto riconoscere l’efficacia del giudicato penale di assoluzione e annullare il decisum del giudice tributario (di appello), anche perché a sua volta fondato essenzialmente sull’esito del giudizio di primo grado del processo penale, che aveva viceversa visto la condanna della ricorrente. Come analizzato in un precedente contributo su BLAST (cfr. A. Calzolari, “L’efficacia del giudicato penale di assoluzione nel processo tributario, un equivoco risolvibile applicando la CEDU”, del 18 marzo), la difesa di Tasoncom non avrebbe potuto evocare la violazione dell’articolo 6.2 della CEDU, ossia l’efficacia indiretta del diritto alla presunzione d’innocenza, dal momento che tale contestazione è fondata solo se il giudicato penale di assoluzione è precedente rispetto all’esito del processo tributario. Anche in questo aspetto è dunque risultata vincente la scelta della difesa della società moldava, che ha contestato (oltre all’articolo 1P1) la violazione del diritto al giusto processo di cui all’articolo 6.1.
La Corte EDU ha infatti verificato la piena applicabilità dell’articolo 6.1 tanto al processo tributario moldavo quanto al processo di revocazione, per quest’ultimo in virtù del fatto che la Suprema Corte moldava ha riesaminato il merito della Causa tributaria, stabilendo la legittimità dell’atto d’accertamento e delle sanzioni irrogate dall’Af, dunque ponderando nuovamente la fondatezza delle accuse di un processo di natura sostanzialmente penale. Per tal via è scaturita la condanna della Moldavia per la violazione dell’articolo 6.1, poiché la decisione della Corte Suprema di Giustizia non risulta allineata al principio della certezza del diritto e della sicurezza (stabilità) dei rapporti giuridici. In particolare, il rigetto della domanda di revocazione ha privato la società ricorrente di almeno una parte dei benefici del giudicato penale di assoluzione, imponendo alla Corte EDU di affermare che il risultato richiesto dall’applicazione dell’articolo 6.1 non è stato raggiunto nel processo tributario instaurato nei confronti di Tasoncom.