CATTIVI PENSIERI (MA NON SEMPRE) - Questo cambio di paradigma sulla definizione ex ante del rapporto fisco/contribuente si sta verificando? O, perlomeno, si potrà mai realizzare?
di Dario Deotto
La recente riforma fiscale si propone, come viene riportato in ogni occasione, di addivenire ad una definizione ex ante del rapporto tra contribuenti e amministrazione finanziaria. Lo si vorrebbe fare, in particolare, attraverso il concordato preventivo biennale e l’ampliamento dell’adempimento collaborativo.
Relativamente al concordato preventivo, si ricorderà che già in passato ci sono stati vari tentativi di applicazione dell’istituto, che però non hanno avuto particolare riscontro.
Il primo (tentativo) si è avuto con il Ddl delega C-2144 approvato il 20/12/2001, che prevedeva, nel più ampio ambito della riforma del sistema tributario di allora, l’“introduzione del concordato triennale preventivo per l’imposizione sul reddito d’impresa e di lavoro autonomo” (anche se c’era già stata un’ipotesi normativa di concordato preventivo nel 1994 riservata alle attività imprenditoriali svolte in piccoli comuni montani – articolo 16 della L 97/1994).
Nella pendenza della discussione del Ddl venne tuttavia introdotto – con l’articolo 6 della L 289/2002 – il concordato preventivo triennale “per i titolari di reddito d’impresa e di lavoro … con ricavi o compensi fino a cinque milioni di euro”. L’articolo 6 della L 289/2002 non ha avuto però attuazione perché poi si è giunti alla legge delega n. 80/2003, la quale prevedeva, all’articolo 3, l’istituzione del “concordato preventivo triennale … anche in funzione del potenziamento degli studi di settore”.
Con l’articolo 33 del Dl 269/2003, “in attesa dell’avvio a regime del concordato preventivo triennale”, è stato introdotto in forma sperimentale un concordato preventivo biennale per il periodo d’imposta 2003 e quello successivo. È l’unico istituto ad avere avuto, al tempo, concreta attuazione (vi hanno aderito circa 250 mila contribuenti). Venivano previste la determinazione agevolata delle imposte sul reddito, la sospensione degli obblighi di emissione dello scontrino e della ricevuta fiscale nonché la limitazione dei poteri di accertamento. Occorreva incrementare i ricavi e il reddito rispetto a quello dichiarato nel 2001 (l’eccedenza veniva tassata separatamente con aliquota agevolata).
Dopodiché è stata introdotta (articolo 1, commi 387-398, della L 311/2004) la pianificazione fiscale concordata, che però è stata abrogata dalla L 266/2005, che aveva a sua volta previsto la programmazione fiscale, la quale, tuttavia, è stata eliminata dal Dl 223/2006.
In sostanza, prima del nuovo concordato preventivo “targato Leo” i vari tentativi di introdurre l’istituto non hanno avuto molto successo. Anzi.
Quindi, veniamo a quello “nuovo”. Dai numeri che sono stati resi noti, l’edizione 2024/2025 ha avuto circa 700 mila adesioni. Diciamo però che l’istituto ha via via assunto sembianze diverse, soprattutto dopo che – per incentivare le adesioni – è stata “associata” la possibilità di avvalersi di un ravvedimento speciale per il passato.
In sostanza, i contribuenti che vi hanno aderito lo hanno fatto:
1. perché hanno avuto la quasi matematica certezza di ricavare un vantaggio – in termini di minore imposizione – almeno per il primo anno di applicazione (assumendosi il rischio per il secondo anno);
2. per una tutto sommato buona copertura dagli accertamenti per gli anni oggetto di concordato;
3. per una altrettanto buona copertura garantita dal “regime di ravvedimento” per il passato.
Diciamo quindi che si fa una certa fatica a sostenere che questo concordato attui una vera e propria definizione ex ante del rapporto tributario: si tratta più di una definizione unilaterale del contribuente, valutata (da quest’ultimo) in termini di convenienza anche per il passato (vediamo se l’edizione 2025/2026 riproporrà la medesima formula). Anche perché della previsione della legge delega, in cui si fa riferimento ad un contraddittorio tra contribuente e amministrazione finanziaria “con modalità semplificate”, non c’è stata traccia.
Quanto all’adempimento collaborativo, è vero, vengono gradualmente diminuite le soglie di accesso, ma stiamo sempre parlando di un numero limitato di imprese.
Per le altre, diciamo quelle con un fatturato – oggi – da circa 50 a 300/400 milioni di euro, rimane sempre la possibilità di optare per il Tcf opzionale, ma si sta sempre più rilevando la ritrosia di moltissime società a mettere in piedi un sistema adeguato di controlli interni, a fronte dei non così eclatanti benefici (fiscali) garantiti dal Tcf opzionale.
E poi, comunque, la domanda che in molti si pongono è se anche per il Tcf opzionale ci sarà un’interlocuzione costante con l’amministrazione finanziaria, con dei funzionari appositamente preposti, come avviene per l’adempimento collaborativo. Questo non è stato ancora chiarito e, comunque, non si può pensare che le recenti assunzioni presso l’agenzia delle Entrate – quindi con del personale ancora non “formato” sul tema – possano garantire la possibilità di confronto preventivo e “personalizzato” che una vera e propria definizione ex ante del rapporto tributario richiederebbe.
Quindi, in definitiva, l’interrogativo da porsi è, perlomeno ad oggi: questo tanto sbandierato cambio di paradigma relativo ad una definizione ex ante del rapporto tributario è realmente avvenuto o – perlomeno – si sta realizzando? E inoltre: la stessa amministrazione finanziaria è realmente pronta? E ancora, piaccia o non piaccia questo cambio di paradigma: considerato che alla prima domanda dobbiamo dare risposta negativa, potrà mai, comunque, concretizzarsi in futuro?
Non abbiamo (per niente) capacità divinatorie, ma di due cose siamo (abbastanza) certi: 1) la definizione ex ante del rapporto tributario non si potrà certamente realizzare con questo concordato preventivo; 2) occorre che il cambio di paradigma si realizzi diffusamente anche in seno all’amministrazione finanziaria, con un mutamento di mentalità che oggi è ancora difficile intravedere.