CATTIVI PENSIERI (MA NON SEMPRE) - L’odiosa applicazione della ritenuta tra imprese per sponsorizzare (ancora una volta) il concordato preventivo biennale
di Dario Deotto
Pensavamo che la previsione della ritenuta d’acconto dell’1 per cento per le cessioni di beni e le prestazioni di servizi effettuate dalle imprese durasse il tempo di un “pranzo veloce” (mutuando l’ennesimo annuncio pubblicitario intravisto nella città del centro-nord d’Italia: al sud risulterebbe – giustamente – un ossimoro).
Invece, un successivo emendamento governativo non solo ha confermato la previsione, ma ne ha addirittura anticipato i tempi, con una diversa “graduazione” della ritenuta. Viene infatti previsto che la ritenuta si applichi nella misura dello 0,50 per cento dal 2028 per poi passare – a regime – dal 2029 all’1 per cento. Fatto salvo che il cedente o il prestatore del servizio non abbia aderito al concordato preventivo biennale o si trovi in regime di adempimento collaborativo (attenzione: non viene citata la possibilità di adesione opzionale al Tcf).
Proprio su quest’ultimo aspetto, colpiscono due cose. La prima, l’ostinatezza, che oramai ha assunto i connotati di una sorta di fastidioso ricatto, con la quale si vogliono riproporre in ogni salsa (anche indirettamente, come in questo caso) quelli che vengono definiti i due capisaldi della “riforma fiscale” (…), cioè il concordato preventivo biennale e l’adempimento collaborativo. Istituti – entrambi – che vorrebbero cambiare l’approccio del rapporto tra Fisco e contribuente, passando da un rapporto “definitorio” c.d. ex post ad uno ex ante. Se quest’ultima “filosofia” può senz’altro essere approvata, non convincono invece i due istituti in questione. Del concordato oramai si è detto più volte, e i risultati sono sotto gli occhi di tutti (50 mila adesioni per il biennio 2025/26). Dell’adempimento collaborativo, invece, le stesse (grandi) imprese ne sottolineano i costi, ed appare significativo che l’istituto venga più sponsorizzato dai professionisti (da taluni studi professionali, per la verità) che dalle stesse imprese. Considerando, comunque, che si tratta davvero di grandi imprese.
Peraltro, stupisce che a fronte del tanto reclamizzato cambio di paradigma (da ex post a ex ante, appunto), il quale avrebbe bisogno di tutta una serie di “corollari” di supporto (diversi, a questo punto, dai due istituti in questione), poi si preveda l’aumento dei controlli (quindi in un’ottica ex post) che dovrebbe portare a circa 350 mila accertamenti nel 2028.
Ad ogni modo, quello che risulta particolarmente fastidioso è che si cerchi in tutti modi di proporre l’utilizzo del concordato e dell’adempimento collaborativo (specie il primo). Dopo l’inesistente minaccia dei controlli (si veda Blast del 3 ottobre scorso) per chi non aderisce al concordato, ora si prevede l’introduzione nella manovra 2026 di questa ritenuta d’acconto “per le prestazioni di servizi e le cessioni di beni effettuate nell’esercizio di imprese… che al momento di ricevere il pagamento non abbiano aderito alla proposta di concordato preventivo biennale… o che non si trovino in regime di adempimento collaborativo”.
È evidente la ragione della misura: si propone un qualcosa che soltanto a pensarlo fa venire l’orticaria, se non altro per tutta una serie di problematiche e adempimenti conseguenti, ma intanto si sponsorizzano i due istituti più volte citati. Viene da dire: più che di una direzione ostinata e contraria, si tratta di una direzione subdola e ottusa.
Peraltro, la previsione di una ritenuta d’acconto per le cessioni di beni e le prestazioni di servizi effettuate in genere dalle imprese non ha proprio senso nell’attuale impostazione di tassazione reddituale (questo è il secondo aspetto che colpisce).
Infatti, al limite, l’applicazione generalizzata della ritenuta anche nei rapporti tra imprese può avere un senso se, nell’ottica di un cambio di paradigma di tassazione (in un mondo oramai digitalizzato vi è una generale sottostima degli asset immateriali che, come da qualche parte auspicato, dovrebbe portare a superare l’attuale misurazione tributaria della ricchezza prodotta dalle imprese), si passasse, ad esempio, ad una cash flow tax (proposta per la prima volta in UK da Brown e alla fine degli anni ’70 dal Comitato Meade). Un’altra ipotesi – proposta dal prof. Versiglioni – è quella del ‘reddito liquido’, che porterebbe, appunto, all’applicazione di una ritenuta per importi molti bassi (ad esempio, 2 per cento), applicata però da parte degli intermediari finanziari.
Prevedere dunque l’applicazione di una ritenuta nei rapporti tra imprese nell’attuale (datato?) sistema di imposizione reddituale dovrebbe essere considerata più o meno una boutade. Eppure tutto questo diventerà norma di legge, per confermare il desolante “quadro” della fiscalità italica.


