CATTIVI PENSIERI (MA NON SEMPRE) - Le sanzioni da quadro RW continuano ad essere dimenticate dal legislatore
di Dario Deotto
Chissà se il maggior tempo a disposizione per i decreti attuativi della riforma (e dei conseguenti decreti correttivi) consentirà di intervenire anche sulle – sempre scordate – sanzioni relative al quadro RW.
È una costante: non solo negli ultimi interventi attuativi della legge di riforma fiscale n. 111/2023, ma anche nel precedente provvedimento di revisione delle penalità di cui al Dlgs 158/2015 non c’è stata alcuna modifica alle sanzioni amministrative legate al monitoraggio fiscale.
Tant’è che nell’articolo 5 del Dl 167/1990 resiste un vecchio retaggio del passato: la penalità pari a 258 euro, invece di quella usuale di 250 euro, prevista per la tardiva presentazione (nei 90 giorni) del modello RW. Peraltro, la previsione dell’articolo 5 del Dl 167/1990 è l’unica che disciplina espressamente una penalità per la dichiarazione tardiva presentata nei 90 giorni (in realtà, nel caso di specie si tratterebbe di un quadro della dichiarazione); infatti, per le dichiarazioni tardive relative alle imposte sui redditi, IVA e sostituti d’imposta il trattamento sanzionatorio è sempre stato individuato, con qualche “capriola in salita”, dalla prassi (cm 23/E/1999, cm 42/E/2016), non quindi da una norma specifica.
Ad ogni modo, le penalità previste per le attività detenute all’estero – comprese le criptoattività – risultano quelle dal 3 al 15 per cento calcolate sugli importi non dichiarati. Se poi le attività risultano detenute in Paesi c.d. “black list” le sanzioni vengono raddoppiate. Ma non solo. In quest’ultimo caso si ha la presunzione in base alla quale le predette attività si ritengono costituite con redditi sottratti a tassazione in Italia (articolo 12 del Dl 78/2009). Presunzione per la quale, peraltro, i termini decadenziali di accertamento risultano raddoppiati.
Si tratta di penalità e effetti sproporzionati, che non sembrano in linea con i principi unionali. Va rammentata in tal senso la sentenza del 27 gennaio 2022, C-788/2019, con la quale la Corte di Giustizia ha sancito che la normativa spagnola – molto prossima, anche sotto il profilo sanzionatorio, a quella italiana – che obbliga i soggetti residenti in Spagna a dichiarare i loro beni o i loro diritti situati all’estero, è contraria al diritto dell’Unione in quanto non conforme al principio di proporzionalità.
Sul tema va anche ricordata la denuncia n. 14 del 2019 dell’Aidc che ha messo in luce come gli obblighi nazionali di monitoraggio delle attività detenute all’estero confliggono sia con il principio di libertà dei movimenti di capitale sia con quello di proporzionalità. Con riferimento a quest’ultimo, è stato rilevato come la normativa italiana imponga adempimenti e sanzioni che eccedono quanto indispensabile per garantire la tutela degli interessi erariali. In particolare, è stato (correttamente) osservato come l’esigenza di garantire l’efficacia dei controlli fiscali non risulta giustificata quando esistono con l’altro Stato – specie quando si tratta di un Paese Ue – efficaci sistemi di scambio d’informazioni.
È così da ritenere che le misure sanzionatorie nazionali italiane relative al monitoraggio fiscale non siano in linea con il principio di proporzionalità.
È opportuno, dunque, che si intervenga per “migliorare la proporzionalità” anche delle (obsolete) penalità relative al monitoraggio fiscale.
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Foto di Pheladi Shai da Pixabay