CATTIVI PENSIERI (MA NON SEMPRE) - Le funamboliche capriole in salita della tesi relativa all’aliquota del 12,5 % sulle criptoattività
di Dario Deotto
Qualche giorno fa un collega mi ha chiesto se era il caso di attivarsi per fare istanza di rimborso in relazione alla (presunta) non debenza dell’imposta sostitutiva del 26 per cento sulle criptoattività, considerato che taluni articoli apparsi sul tema e un recente documento ritengono applicabile la percentuale del 12,5 per cento (per il 2023 e 2024).
Non riproporrò qui la mia risposta al collega (…), ma cercherò di rappresentare l’insostenibilità di una simile tesi (tralascerò anche di commentare i “corollari” che sono stati costruiti attorno alla vicenda).
Con la legge di Bilancio 2025 - n. 207 del 30 dicembre 2024 - sono state apportate talune modifiche alla disciplina fiscale delle criptoattività: tra queste, è stato previsto (articolo 1, comma 24) l’innalzamento al 33 per cento dell’imposta sostitutiva gravante su plusvalenze e altri proventi. Questo a partire dal 1° gennaio 2026.
Il precedente comma 23 stabilisce invece che “l’aliquota dell’imposta sostitutiva sulle plusvalenze e sugli altri redditi diversi, di cui all’articolo 5 del decreto legislativo 21 novembre 1997, n. 461, è pari al 26 per cento”.
Si tratta di una disposizione che ha suscitato, certamente, una serie di perplessità.
Vediamo di spiegarne le ragioni. Occorre rilevare innanzitutto che l’articolo 5 del Dlgs 461/1997, prima dell’intervento della legge di Bilancio 2023 – previsione quest’ultima che ha disciplinato la rilevanza tributaria delle criptoattività - stabiliva che “i redditi di cui alle lettere da c) a c-quinquies) del comma 1 dell’articolo 81 (ora 67 NdA), del testo unico delle imposte sui redditi…sono soggetti ad imposta sostitutiva delle imposte sui redditi con l’aliquota del 12,50 per cento”. Ancora precedentemente la medesima norma richiamava i “redditi di cui alle lettere da c-bis) a c-quinquies)” [si noti il riferimento alla lettera c-bis), e non alla lettera c)].
Bisogna ulteriormente tenere conto che l’aliquota del 12,5 per cento è stata innalzata, da ultimo, al 26 per cento mediante l’articolo 3, comma 1, del Dl 24 aprile 2014, n. 66, il quale ha disposto detto aumento per i “redditi diversi di cui all’articolo 67, comma 1, lettere da c-bis) a c-quinquies)” del Tuir. Chiaramente, all’epoca (siamo nel 2014), la norma non poteva citare i redditi diversi di cui alla lettera c-sexies), relativa ai proventi delle criptoattività, così come non poteva menzionare la lettera c), riferita alle plusvalenze relative alle partecipazioni c.d. “qualificate”, per il semplice fatto che l’assoggettamento ad imposta sostitutiva di quest’ultime è avvenuto con l’articolo 1, comma 1000, della L. 205/2017.
Così, poi, la legge di Bilancio 2023 (comma 128 dell’articolo 1 della legge 197/2022) ha ulteriormente provveduto a modificare l’articolo 5 del Dlgs 461/1997, prevedendo che anche i redditi di cui alla lettera c-sexies) dell’articolo 67 Tuir (criptoattività) risultassero soggetti all’imposta sostitutiva del 12,5 per cento; che, in realtà, sarebbe quella del 26 per cento, per effetto dell’aumento disposto dall’articolo 3, comma 1, del Dl 66/2014.
Da qui è nata la “narrazione” che l’intervento dell’ultima legge di Bilancio 2025 (il comma 23 citato in precedenza) – con cui è stato stabilito che l’aliquota è pari al 26 per cento per le plusvalenze e i redditi diversi di cui all’articolo 5 del Dlgs 461/1997 – sarebbe dovuto alla necessità di escludere l’applicazione dell’imposta sostitutiva del 12,5 per cento sulle crypto per le annualità 2023 e 2024, posto che, come si è appena visto, la norma della legge di Bilancio 2023 richiamava, quando ha introdotto la disciplina fiscale delle criptoattività, quest’ultima entità.
In realtà – a quanto ci consta – l’intervento (comunque maldestro) del “legislatore” si deve al timore che, in conseguenza di certe prese di posizione sulle crypto, qualcuno sollevasse il più ampio problema dell’aliquota dell’imposta sostitutiva per le plusvalenze relative alle partecipazioni qualificate.
Il fatto è che ne è nato un pasticcio, perché la norma della legge di Bilancio 2025 (comma 23) non può certo essere ritenuta di natura interpretativa. Non tanto perché priva delle “condizioni” richieste dall’articolo 1, comma 2, dello Statuto del contribuente (la Cassazione le bypassa tranquillamente…) ma perché manca qualsivoglia riferimento al fatto che “una certa fattispecie contenuta in una norma precedente deve interpretarsi nel senso di …”.
Si esclude anche che si tratti di disposizione c.d. di qualificazione.
Si tratterebbe, quindi, di norma “innovativa criptoretroattiva” (guarda le coincidenze …), ammessa in talune occasioni dalla Corte Costituzionale (ad. es., Corte cost. n. 234 del 2007), secondo la quale “non è decisivo verificare se la norma abbia carattere effettivamente interpretativo (e sia perciò retroattiva) ovvero sia innovativa con efficacia retroattiva, trattandosi in entrambi i casi di accertare se la retroattività della legge, il cui divieto non è stato elevato a dignità costituzionale, salvo che per la materia penale, trovi adeguata giustificazione sul piano della ragionevolezza e non contrasti con altri valori ed interessi costituzionalmente protetti”.
Ebbene, si è dell’opinione che, sempre in termini di ragionevolezza, dovendosi interpretare le norme non soltanto – evidentemente – sul piano filologico, ma anche (almeno) su quello logico-sistematico e/o funzionale, l’aliquota dell’imposta sostitutiva del 26 per cento risultasse già ovviamente applicabile in passato alle plusvalenze relative alle partecipazioni qualificate, così come – altrettanto ovviamente - alle medesime plusvalenze (e agli altri proventi) relative alle criptoattività. Con la conseguenza che non c’era affatto bisogno della norma dell’ultima legge di Bilancio: peggio el tacon del buso – peggio la toppa che il buco – riporta un detto veneto.
Ragionevolezza che non viene presa in considerazione, invece, da chi si ostina a richiamare criteri interpretativi fondati esclusivamente sul dato letterale, citando i pochi riferimenti giurisprudenziali favorevoli ad una simile lettura, dimenticando le più ampie e basilari regole ermeneutiche (su cui c’è una vasta letteratura sia giurisprudenziale che dottrinale).
Ragionevolezza che, ulteriormente, viene drammaticamente meno se si considera che molti di coloro che sostengono la tesi, diciamo, letterale, hanno in passato adottato canoni interpretativi sistematici per giustificare per le criptovalute (prima del 2023, al tempo dell’erronea assimilazione da parte della prassi alle valute estere) l’applicazione dell’imposta sostitutiva del 26 per cento.
Sicché, in base a questi oscillanti criteri ermeneutici, si avrebbe la stravagante situazione: fino al 2022, sostitutiva pari al 26 per cento; 2023 e 2024, sostitutiva del 12,5 per cento; dal 2025 nuovamente 26 per cento (tralasciando il 33 per cento dal 2026). Penso che non necessiti aggiungere altro.