Cattivi pensieri (ma non sempre) - L’AI e “L’ho sentito al telegiornale”: quali differenze?
di Dario Deotto
Francamente mi sono un po’ rotto. Dei demonizzatori seriali, dei professionisti dell’etica (ammetto: di questi, in particolare) e di chiunque paventi tragici “punti di non ritorno” per l’umano in conseguenza dell’utilizzo dell’intelligenza artificiale. Ma non solo.
L’intelligenza umana – sulla cui definizione e latitudine, compresa quella del “pensiero”, già si dovrebbero svolgere ampie digressioni (specifico che l’intelligenza non è tutto il pensiero, si pensa anche quando si chiede di “passarmi il sale”) – è sempre stata “ibrida”. Solo per fare un esempio (banale): la calcolatrice, di cui l’umano si serve, fa o non fa calcoli meglio dell’uomo? Da che mondo e mondo, dunque, l’umano si è sempre avvalso di mezzi tecnici per fare fronte alle proprie “insufficienze”.
Venendo alle AI, mi viene in mente la grande biblioteca nello studio in cui ho iniziato a svolgere la pratica professionale. Avevo a disposizione enciclopedie (del diritto), manuali, tomi, libri, riviste. Tra questi, certamente c’erano degli scritti eccellenti, altri un po’ meno e, magari, qualcuno sbagliato. Così come nella mia attività professionale ho rinvenuto articoli con riferimenti giurisprudenziali e di prassi errati, che poi sono stati a loro volta citati – senza le dovute verifiche – da altri articoli. Sicuramente, in qualche scritto, qualche errore l’avrò fatto anch’io.
Dunque mi inquietano non poco taluni commenti dopo alcune pronunce in cui i giudici (ultimo quello di Torino) hanno condannato alle spese di lite per l’uso dell’intelligenza artificiale negli atti difensivi “senza alcun filtro critico da parte del professionista”. Così come mi inquietano le motivazioni degli stessi giudici. Se dovessi giudicare il “filtro critico” di quest’ultimi in talune sentenze, potrei finire questo articolo (assicuro: senza l’impiego dell’AI) tra una settimana.
Senza contare che mi è spesso capitato di vedere certi ricorsi predisposti copiando dai vari “Frizzera” o da altre “guide facili”.
Altrettanto preoccupante, per me, è poi il fatto che nella legge italica sull’AI, che presto entrerà in vigore, si preveda che il professionista indichi al cliente “le informazioni relative ai sistemi di intelligenza artificiale utilizzati”.
Strabuzzo gli occhi: forse oggi il professionista indica i riferimenti dei suoi studi, delle sue ricerche?
Sì, ma (mi) si dirà: gli studi e le ricerche sono frutto dell’umano, mentre i risultati dell’AI derivano da una “macchina”. Insisto: quando nelle mie ricerche uso una banca dati non uso forse “una macchina”?
Sì, però, ulteriormente mi si ribatterà: l’AI, diversamente da una banca dati, rielabora i contenuti dei vari documenti e ti predispone un risultato finale, dato da un articolo, un ricorso, un parere, una qualsiasi relazione.
In sostanza: se nel predisporre un atto, una relazione, un ricorso, copio da un articolo più o meno specialistico, magari sbagliato, oppure dalle miriadi di (semplicistiche) guide “come fare per”, va tutto bene, mentre non va affatto bene e, comunque, “devo citare quale sistema ho utilizzato”, se utilizzo un’AI (come se - ripeto – nel corso dei secoli l’umano non abbia delegato molte delle proprie capacità a dei supporti esterni, sempre più sofisticati).
Tutto questo mi ricorda molto il “l’ho sentito al telegiornale”, “l’ho letto in un articolo”, “l’Agenzia ha detto che”. Ovverossia l’acritica introiezione di informazioni passate per “vere” che è in gran parte responsabile dell’appiattimento e dello smarrimento dell’umano.
Che si tratti di un testo predisposto dall’Ai oppure della presunta notizia del telegiornale o di un quotidiano (per quanto ancora esisteranno quest’ultimi; inoltre si ricordi: la cosiddetta informazione viene conformata a ciò che l’utente vuole sentire o leggere) penso che sia la capacità di critica, e quindi anche quella di porsi domande, uno dei principali “elementi” che ci contraddistingue dalle macchine (come il bisogno, la volontà, la paura, ecc.). Altrimenti è solo una vicenda “tra macchine”. Con l’aggravante di avere la presunzione che la macchina con sembianze umane si possa salvare con qualche discorso sull’etica e con qualche “leggina”, buoni però solo per macchine “vere”, non per umani pensanti.