Cattivi pensieri (ma non sempre) - La “Legge” (in realtà, Ddl) di bilancio del “già visto”
di Dario Deotto
L’articolo di oggi di Gianluca Iannetti ci costringe, di fatto, a riportare qualche piccola considerazione sulla legge di Bilancio 2026 (per fortuna, attualmente solo disegno di legge).
Si nota, peraltro, che da quasi tutte le parti vengono riportati giudizi non certo positivi sugli interventi previsti, soprattutto per quel che concerne le misure legate alle attività economiche.
L’articolo di Iannetti prende in considerazione le ipotizzate modifiche alla disciplina dei dividendi societari. Chi legge ricorderà che le regole che si stanno attualmente applicando sono entrate in vigore nel 2004 per dare attuazione al principio in base al quale il reddito societario deve essere tassato al momento della produzione (c.d. principio di esenzione).
In precedenza, infatti, il metodo di tassazione era quello della c.d. “imputazione del dividendo” che consisteva nel considerare il socio, e non la società, l’effettivo possessore dell’utile societario con la conseguenza che l’imposta assolta dalla società in sede di produzione dell’utile risultava, di fatto, un mero acconto d’imposta.
Con il Dlgs 344/2003 il sistema dell’imputazione è stato abbandonato, sposando la (riteniamo) giusta “filosofia”, come in altri Paesi europei, di tassare il reddito al momento della sua produzione in capo alla società, e non anche in sede di distribuzione ai soci. L’esclusione del 95 per cento dell’imponibilità dei dividendi risponde quindi a questa logica, compresa quella di contemplare la possibilità di dedurre i costi di gestione delle partecipazioni.
L’intervento del Ddl Bilancio 2026 non si propone quindi di revisionare alcuni di questi principi, per i quali – peraltro – nemmeno la recente (presunta per ora) riforma fiscale prevede alcun correttivo. Si può quindi catalogare l’intervento tra quelli “non strutturali”, motivati da esclusive finalità di gettito (senza nemmeno avere il buon senso di fissare – come riporta Iannetti – almeno dei “palliativi” di carattere transitorio).
Le medesime finalità si colgono – chiaramente – anche per la misura della rateizzazione delle plusvalenze dei beni strumentali, per le quali si assiste ad una sorta di balletto temporale tra la durata della rateizzazione e il possesso degli stessi beni.
Citiamo dividendi e plusvalenze perché si tratta di questioni abbastanza rilevanti nella determinazione del reddito d’impresa. Quello che si vuole dire è che stupisce che, nonostante i proclami di riforme epocali, in cui si sbandierano principi come “certezza del diritto” “crescita economica” “efficienza della struttura dei tributi” “riduzione del carico fiscale” “semplificazione” (quest’ultima è una sorta di mantra) “equità” (li riportiamo tutti di un fiato, quindi senza alcuna virgola) eccetera eccetera, poi, alla fine, la fiscalità, in particolare quella attinente alle imprese, venga utilizzata come usuale “bancomat” per fare fronte alle esigenze di gettito.
Peraltro, sempre a proposito della riforma, con la manovra 2026 si registra il sostanziale annullamento della misura dell’Ires premiale (che derivava, appunto, dalla L. 111/2023), la quale, se non fosse stata appesantita – sempre per ragioni di cassa – da tutta una serie di orpelli, rappresentava, forse, l’unico recente intervento di “visione”: se, da una parte, si agevolano gli investimenti tecnologici, dall’altra tali agevolazioni si concedono a patto che non diminuisca il costo del personale (l’abbiamo definita una sorta di “salvezza dell’umano dal dominio della tecnica”).
Per il resto, la manovra fa la solita operazione di “nostalgia fiscale”, riproponendo rottamazioni, assegnazioni, estromissioni, superammortamenti, eccetera.
Il “già visto”, dunque, che conferma che, purtroppo, nonostante i proclami, l’attuale situazione dei conti pubblici non permette, nei fatti, alcuno slancio (da intendersi, vera ri-forma).


