CATTIVI PENSIERI (MA NON SEMPRE) – Con il nuovo contraddittorio preventivo proliferano i termini di decadenza “ad personam”
di Dario Deotto
In più occasioni, in passato, si sono rilevate le molteplici contraddizioni delle disposizioni in tema di contraddittorio preventivo, istituto fondamentale del tanto enfatizzato rapporto fisco/contribuente e, tutto sommato, abbastanza semplice da disciplinare normativamente.
Diciamo che l’“apice” si è raggiunto con l’insano connubio tra l’istituto e l’accertamento con adesione. Al riguardo, non si può non rilevare, in estrema sintesi, che se si va a collocare il contraddittorio preventivo (anche) nell’ambito della procedura di accertamento con adesione, se ne tradisce la sua natura. La fase dell’accertamento con adesione, infatti, si svolge a fronte di una pretesa non più embrionale, ma sostanzialmente compiuta. La dialettica che si realizza all’interno di questa fase ha quindi una funzione diversa, che contempla, tra l’altro, le prospettive processuali. Non è un caso che nell’ambito dell’accertamento con adesione la disponibilità degli uffici a rivedere i termini della rettifica normalmente non è molto ampia.
Ad ogni modo, in questa sede si vuole sottolineare un altro aspetto: quello legato allo slittamento dei termini decadenziali (l’ennesimo). Che si contraddistingue da altre previsioni di proroga. Vediamo il perché.
Il comma 3 dell’articolo 6-bis dello Statuto prevede una proroga di 120 giorni a favore dell’amministrazione qualora il termine assegnato per l’esercizio del contraddittorio (i 60 giorni per presentare le osservazioni) sia successivo a quello di decadenza dell’accertamento oppure scada a meno di 120 giorni da quest’ultimo. Si noti che il differimento viene “posticipato al centoventesimo giorno successivo alla data di scadenza del termine di esercizio del contraddittorio”. In sostanza, il differimento “guarda” al termine per la presentazione delle osservazioni, che, chiaramente, differisce per ogni singolo contribuente.
Si prenda, invece, la previsione dell’articolo 5 del Dlgs 218/1997, relativa all’accertamento con adesione, al di là del “nonsense” della stessa (a breve si spiegherà perché). La norma prevede che, se fra la data di comparizione del contribuente e quella di decadenza del potere di accertamento decorrono meno di 90 giorni, il termine di decadenza per la notifica dell’atto impositivo è “automaticamente prorogato di centoventi giorni”. Attenzione però: in questo caso il differimento di 120 giorni “guarda”, comunque, il termine di decadenza ordinario.
Si diceva del “non senso” della previsione: il fatto è che l’articolo 5 del Dlgs 218/1997 ora si riferisce principalmente agli atti di accertamento per i quali non sussiste l’obbligo di contraddittorio. Per cui: che senso ha differire un termine di decadenza per un atto già notificato (per il quale poi si innesta l’accertamento con adesione)? L’unica ragione della previsione (ma chi l’ha scritta non ne è consapevole), visto che si cita l’articolo 6 del Dlgs 218/1997, e quindi anche il comma 1, è da riferirsi all’istanza del contribuente raggiunto da un Pvc.
Ad ogni modo – lo si ripete – il differimento stabilito dall’articolo 5 del Dlgs 218/1997 è legato al termine di decadenza dell’accertamento.
Così non è invece, come si è visto, per la previsione del nuovo contraddittorio (comma 3 dell’articolo 6-bis), per la quale il differimento decadenziale si ha in relazione al termine relativo alla possibilità di presentare le osservazioni a fronte dello schema di atto. In sostanza, se per Rossi il termine per le memorie scade il 15 di gennaio, è da tale data che per lui si devono contare i 120 giorni. Se, invece, per Bianchi il termine per le osservazioni scade il 15 novembre, sarà da tale data che decorreranno i 120 giorni. E così per ognuno.
Non si può che annotare, quindi, la sempre più marcata dissoluzione della certezza dei termini di decadenza, la cui ratio risulta, appunto, quella della definizione in termini certi, e non eccessivamente dilatati, dei rapporti tra contribuente e amministrazione finanziaria. Si tratta di valori che, teoricamente, risulterebbero di rilevanza costituzionale (Corte Cost. 280/2005).
Ad ogni modo, quello che si rileva è che si va sempre più verso la “mobilità” dei termini di decadenza dell’azione accertatrice.
Si pensi alla disposizione di cui all’articolo 1, comma 640, della L. 190/2014, che differisce i termini di accertamento in ragione del momento di presentazione della dichiarazione integrativa da parte del contribuente. Oppure, ancora, alla previsione in materia di abuso del diritto (comma 7 dell’articolo 10-bis, L. 212/2000), in base alla quale si ha un differimento di 60 giorni che fa riferimento al termine (chiaramente personale) assegnato al contribuente per rispondere alla richiesta di chiarimenti.
È evidente però che il differimento previsto per gli schemi di atto (molto più numerosi delle ipotesi riferite all’abuso e alle dichiarazioni integrative) accentuerà sempre più il carattere mobile – di fatto, ad personam – del termine di decadenza dell’azione accertativa.
Ci si chiede, tralasciando gli ormai calpestati valori di certezza e di stabilità dei rapporti tributari (la cosa non fa più “notizia”), se tale “mobilità decadenziale” non nuoccia (operativamente) anche agli stessi uffici dell’amministrazione finanziaria.
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Foto di Pheladi Shai da Pixabay