Capacità contributiva ed imputazione per trasparenza dei redditi prodotti dalle società di persone: è una strada davvero obbligata?
di Antonio Borghetti
L’ordinanza n. 50/2025 della Corte costituzionale offre l’occasione per riflettere sull’attualità di un meccanismo noto, collaudato e diffuso anche in altri ordinamenti quale il principio di trasparenza fiscale ex articolo 5 co. 1 del Tuir. Questo criterio di imputazione dei redditi determinati dalle società di persone ha subito un ulteriore scrutinio di costituzionalità dopo il precedente approfondimento operato nella sentenza n. 201/2020, a riprova che l’applicazione pratica di tale automatismo ingenera, talora, situazioni aberranti, in particolare allorché si sottoponga il suo esame alla luce riflessa dal prisma del principio di capacità contributiva.
La rimettente C.G.T. di Udine era chiamata a pronunciarsi sul ricorso di una socia accomandante di una s.a.s. alla quale, previo accertamento di un maggior reddito sull’ente, era richiesta l’imposizione di sua spettanza; socio accomandatario era il marito separato della ricorrente. La Corte di merito evidenzia a chiare lettere che “nel caso di specie non è in discussione che la ricorrente non ha percepito il reddito accertato” ed individua nella pedissequa applicazione dell’articolo 5 co. 1 del Tuir la possibile lesione degli articoli 3, 24 e 53 della Carta.
Sotto lo scrutinio del principio di uguaglianza sono stati quindi esaminati i diversificati poteri di controllo e/o diritti di ispezione del socio accomandante rispetto ai soci di s.s. e s.n.c. ed ai soci-non amministratori di s.r.l. in trasparenza ex articolo 116 Tuir. Altresì è stato operato un raffronto con i soci di società di capitali a ristretta base partecipativa i quali, a mente della nota presunzione di conio giurisprudenziale hanno, tuttavia, una seppur impervia way out che consente loro l’esperimento della prova contraria.
Sul punto il Giudice delle leggi stigmatizza la reiterazione della questione sottopostale evidenziando che sulla posizione del socio accomandante s’era già espressa con la richiamata sent. 201/2020; sul punto non ravvede discriminazioni interne od esterne e ritiene incomparabile la “presunzione giurisprudenziale” con la “tipizzazione legale” di attribuzione del reddito ex lege imposta (articolo 5) ovvero consentita su opzione (articolo 116 Tuir).
Per quanto attiene al diritto di difesa dell’accomandante, la rimettente aveva rilevato che, se da un lato l’accomandante ben può difendersi anche nel merito in ordine all’accertamento del reddito di impresa, l’esercizio concreto di tale diritto potrebbe essergli gravemente ostacolato dall’ostruzionismo degli accomandatari. Altresì, è stato ravvisato un potenziale conflitto con il principio del contraddittorio, avuto riguardo a come il suo mancato coinvolgimento nel procedimento relativo alla società, in ultimo, riverberi effetti immediati ed automatici anche sulla sua sfera giuridica.
La Corte, anche qui, ha rigettato la fondatezza delle questioni sollevate dal Giudice a quo ritenendo che l’istituto del litisconsorzio necessario (o della sospensione) consenta l’adeguato trattamento unitario delle inscindibili cause società-soci e sostenendo che, “permanendo lo schermo societario”, il principio del contraddittorio viene rispettato con il coinvolgimento degli apicali muniti di legale rappresentanza.
Attenzione maggiore merita la questione relativa al rispetto del parametro ex articolo 53 Cost. in rapporto all’imputazione del reddito a ciascun socio indipendentemente dalla percezione e – scrive la Corte udinese – “senza alcuna mediazione”. La rimettente, anche per valorizzare la rilevanza della questione di costituzionalità, sottopone a censura, in modo che qui si ritiene condivisibile, le principali argomentazioni che sorreggono la Sent. n. 201/2020: assenza di immedesimazione socio-società e cautela fiscale (nell’interesse fiscale) quale conseguenza del minore livello di formalizzazione ed obblighi contabili delle società di persone.
Tuttavia, nel dichiarare manifestamente infondate anche le questioni sollevate relativamente all’articolo 53 Cost., la Corte si riporta ai già espressi orientamenti ritenendo non arbitraria la scelta legislativa di individuare la capacità contributiva nella relazione tra il presupposto e il soggetto passivo, evidenziando come il concetto di “possesso” (del reddito) ex articolo 6 Tuir non debba essere inteso nella sua accezione civilistica.
Questa impostazione le consente quindi di “svalutare” il diverso effetto conseguente all’approvazione del rendiconto ex articolo 2262 c.c. rispetto al bilancio: la nascita salvo patto contrario, di un diritto di credito per la propria parte di utili. Per la Corte, il socio si trova quindi “in una relazione con il reddito societario prodotto che appare idonea a integrare” il possesso del reddito che, anche così inteso, è indice di capacità contributiva.
In proposito si ritiene, contrariamente al cennato approdo, che, salvo i casi di mancata e strumentale approvazione del rendiconto, la disposizione normativa non appaia aderente al dettato dell’articolo 53 Cost. il quale, nella sua interpretazione più alta, dovrebbe mirare ad assoggettare ad imposizione grandezze effettive, realmente incamerate dai percettori. Maggiormente rispettosa della tesi qui sostenuta risultava l’impostazione dell’I.R.I. ex articolo 55-bis del Tuir, introdotta nel 2016 e mai entrata in vigore. Ed ancora si ritiene che in un momento storico ove i poteri istruttori dell’Amministrazione vengono ulteriormente incrementati con l’utilizzo di potenti tecnologie come l’IA, l’ordinamento, nel proprio complesso, dovrebbe ambire all’obiettivo di individuare con sempre maggiore precisione ed accuratezza i redditi dei contribuenti senza concedere ulteriore spazio a meccanismi presuntivi o ad automatismi di difficile comprensione e – peraltro – potenzialmente lesivi dello stesso interesse fiscale. Purtuttavia, le recenti riforme, CPB in primis, sembrano palesare un diverso e contrario orientamento attuato con il proliferare di congegni volti, in un processo che si ritiene regressivo, a catastalizzare redditi storicamente determinati analiticamente. Ecco quindi che, dal rischio di tassare grandezze diverse dalla reale ed effettiva capacità contributiva sembra individuarsi, oltre che nella giurisprudenza anche nel legislatore, un preciso gradimento, qui censurato, volto appunto a tassare contribuenti privi di ability to pay; un indirizzo volto, in definitiva, a tassare in maniera approssimativa ricchezze non effettive, non spendibili ed irreali.