“Buongiorno, sono la tua assistente virtuale. Come posso aiutarti oggi?”
Questa frase, fino a pochi anni fa percepita come una novità, è oggi diventata ordinaria. Nei call center di banche, assicurazioni, utility, pubbliche amministrazioni e persino sanità privata, la prima voce che ascoltiamo non è più umana. È una sintesi artificiale, istruita per capire, rispondere, smistare.
Il punto, però, non è solo chi risponde. È come questo cambia il lavoro di chi, dietro le quinte, ancora risponde in carne e ossa.
Gli operatori umani sono sempre più confinati a:
gestire i casi più complessi
intervenire quando l’AI fallisce
velocizzare la chiusura delle chiamate
L’intelligenza artificiale non sta solo affiancando il lavoro relazionale. Sta ridefinendo tempi, metriche, modalità.
E spesso, lo fa con una logica che premia l’efficienza, non la comprensione.
Contesto tecnologico e normativo
Le tecnologie oggi impiegate nei call center vanno ben oltre il semplice IVR (risposta vocale interattiva).
Si parla ormai di:
chatbot e voicebot evoluti, alimentati da modelli di AI generativa (GPT, Claude, Gemini)
speech analytics, che analizzano tono, parole chiave, pause e “sentiment” della voce umana
sistemi di scoring automatici che valutano le performance dell’operatore in tempo reale
algoritmi predittivi che suggeriscono risposte o azioni durante la chiamata
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