Calcio e sostenibilità economica: un gigante dai piedi d’argilla?
di Giuseppe Mogliani
Il calcio professionistico è una cattedrale gotica che si erge maestosa, adornata da guglie dorate e vetrate scintillanti, ma con fondamenta sempre più instabili. Le sue pareti risuonano di grida d’esultanza e cori infuocati, eppure sotto la superficie si celano crepe profonde, segno di un modello economico che ha smarrito la rotta. Le società calcistiche, sulle ali dell’ambizione del successo sportivo, stanno ignorando completamente lo loro fragilità finanziaria.
Siamo di fronte a un bivio: il calcio può continuare la sua folle corsa verso un precipizio economico o fermarsi, ripensarsi e ricostruire su basi solide. Ma è davvero pronto a guardarsi allo specchio e affrontare le sue ombre?
Un modello sotto pressione
Negli ultimi decenni, il calcio è diventato un leviatano finanziario, un'industria globale capace di generare ricavi da capogiro. Secondo l’Annual Review of Football Finance di Deloitte, i cinque principali campionati europei hanno generato ricavi per 19 miliardi di euro nella stagione 2022-2023. La Premier League domina con 7,2 miliardi di euro, mentre la Serie A ha registrato un incremento fino a 3,8 miliardi nella stagione successiva. Tuttavia, dietro questi numeri da capogiro si cela un’insidiosa verità: i costi stanno divorando i profitti come un incendio in una foresta arida.
Nel calcio italiano, il disastro è già visibile. Nonostante la crescita dei ricavi, la Serie A ha registrato una perdita complessiva di 350 milioni di euro nella stagione 2023-2024. Ancora più preoccupante è la Serie B, con una perdita netta aggregata di oltre 330 milioni e un indebitamento totale di 777,9 milioni di euro. Dal 2000 ad oggi, più di 180 squadre professionistiche italiane sono fallite, segnando un destino simile a quello di imperi che hanno ignorato i segnali del declino fino al loro crollo definitivo.
Il miraggio del successo immediato e la sindrome del giocatore d’azzardo
Come un giocatore che punta tutto sul rosso al casinò, sperando di rifarsi delle perdite precedenti, il calcio continua a spendere oltre le proprie possibilità, nella vana illusione che il successo sportivo risolverà magicamente ogni problema economico. Tre elementi evidenziano questa spirale autodistruttiva:
settori giovanili dimenticati: crescere un talento richiede tempo, dedizione e investimenti. Ma in un mondo che brucia tutto in pochi istanti, molti club preferiscono acquistare (a volte, presunte) stelle a prezzi esorbitanti piuttosto che costruirle in casa. Il Chelsea ha speso oltre 600 milioni di euro in due sole sessioni di mercato, senza ottenere risultati proporzionati;
stadi fantasma: mentre in Inghilterra l’Emirates Stadium dell’Arsenal genera oltre 100 milioni di sterline annui da attività extra-calcistiche, in Italia molti club giocano ancora in impianti pubblici vetusti, privandosi di una fonte stabile di ricavi;
governance opaca e anarchia gestionale: il D.Lgs. 231/2011 impone modelli di controllo per prevenire illeciti finanziari, eppure quanti club italiani hanno davvero implementato una struttura trasparente?
Esiste una via d’uscita?
Non tutto è perduto. Alcuni club hanno dimostrato che il calcio può essere sia spettacolo che sostenibilità. Il Bayern Monaco non ha praticamente debiti e costruisce la sua forza su un modello gestionale rigoroso. L’Atalanta, con una politica accorta di valorizzazione dei giovani, ha generato plusvalenze per oltre 250 milioni di euro negli ultimi anni.
Ancora più emblematica è la strategia del Real Madrid: mentre altre squadre si indebitano per inseguire il sogno effimero di un trofeo, i Blancos hanno investito 800 milioni di euro nella ristrutturazione del Santiago Bernabéu, trasformandolo in un centro di intrattenimento che genererà ricavi extra-calcistici per oltre 150 milioni annui. Un club non è solo il campo di gioco: è un ecosistema economico, una macchina complessa che va gestita con visione e disciplina.
Ancora, la Fiorentina che ha adottato una strategia finanziaria equilibrata, mantenendo sotto controllo il monte ingaggi e investendo in infrastrutture, come il progetto per il nuovo centro sportivo. La squadra viola ha puntato su una gestione oculata del mercato, valorizzando giocatori emergenti e garantendo sostenibilità economica senza rinunciare alla competitività.
Inoltre, l’implementazione del Modello di Organizzazione, Gestione e Controllo ex D.Lgs. n. 231/2001, l’adozione di un Codice Etico e della Whistleblowing Policy, senza dimenticare il recente conseguimento della certificazione ISO 45001:2018 per la gestione della salute e sicurezza negli ambienti di lavoro, riflettono l’impegno della società nel promuovere una cultura aziendale basata su integrità, trasparenza e responsabilità.
A questo punto quali sono le riforme indispensabili?
Se il calcio vuole evitare il naufragio, servono riforme radicali. Alcune proposte chiave includono:
introduzione di un Salary Cap: un tetto salariale per evitare che le spese per ingaggi esplodano oltre ogni logica;
redistribuzione più equa dei diritti TV: il modello inglese garantisce maggiore equilibrio, mentre in Italia le disparità aumentano il gap tra grandi e piccole squadre;
limitazione degli investimenti finanziati dal debito: per impedire acquisti insostenibili che portano club sull’orlo del fallimento;
maggiore attenzione ai settori giovanili: incentivare chi investe sui propri talenti, riducendo la dipendenza da spese esorbitanti sul mercato;
adozione di un Modello Organizzativo 231: un sistema di compliance che garantisca trasparenza e prevenzione di illeciti;
monitoraggio indipendente delle finanze dei club: un organismo terzo per vigilare e prevenire crisi sistemiche.
Calcio e futuro
Il calcio è uno specchio della società: un’arena dove sogni e ambizioni si scontrano con la dura realtà economica. Il mito che il successo sportivo possa risolvere qualsiasi problema finanziario si sta dissolvendo, lasciando spazio a una verità scomoda: senza una gestione sana e responsabile, anche le più grandi squadre rischiano di trasformarsi in castelli di sabbia destinati a crollare alla prima onda.
Non si può continuare a ignorare i segnali di pericolo, sperando che un gol all’ultimo minuto salvi la situazione. Il tempo delle illusioni sta finendo: il calcio ha bisogno di una rivoluzione gestionale, prima che il suo castello dorato si trasformi in un cumulo di macerie.