Calciatori italiani in Arabia Saudita e residenza fiscale: i nodi ancora irrisolti
di Emilio de Santis
La crescente migrazione di calciatori italiani verso il campionato saudita solleva interrogativi di natura fiscale tutt’altro che marginali. Il primo fra tutti riguarda l’effettiva residenza fiscale degli sportivi: il trasferimento, infatti, non implica automaticamente il venir meno della residenza in Italia.
L’individuazione della residenza fiscale richiede la valutazione di molteplici elementi, tra cui le relazioni personali e familiari, i centri di interesse economico, la durata della permanenza all’estero.
Lo insegna una nota sentenza della Corte di Cassazione penale (n. 29095/2020), che ha confermato il sequestro di rilevanti disponibilità a un calciatore il quale, pur avendo trasferito all’estero anche il proprio nucleo familiare, non era riuscito a dimostrare la cessazione di ogni legame significativo con l’Italia.
La riforma dell’articolo 2 TUIR, in vigore dal 2024, sembra ora spostare l’asse interpretativo, attribuendo prevalenza alle relazioni personali e familiari. Ma anche in tale scenario, non si esauriscono le incertezze. Tra i principali nodi da sciogliere vi è la qualificazione del datore di lavoro saudita: se si trattasse di un ente pubblico, potrebbe trovare applicazione l’articolo 19 della Convenzione contro le doppie imposizioni tra Italia e Arabia Saudita (legge 159/2009), che attribuisce al solo Stato erogante la potestà impositiva sulle “funzioni pubbliche”.
Tuttavia, anche determinare la natura giuridica dell’ente datore di lavoro non è operazione agevole. La Saudi Arabian Football Federation (SAFF), ad esempio, si presenta come organizzazione privata e indipendente, ma è al contempo responsabile della regolamentazione del calcio nazionale, in un sistema istituzionale retto da una monarchia assoluta. In tale contesto, la distinzione tra funzione pubblica e attività privatistica rischia di divenire sfumata. In dottrina non manca chi, valorizzando la sostanza economico-istituzionale dell’attività svolta, ritiene plausibile ricondurre i compensi erogati dalla SAFF nell’ambito dell’articolo 19 della Convenzione, trattandosi di prestazioni in favore dello Stato.
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