Se per il fumettista Zerocalcare l’assenza del minerale sembrerebbe già insita nel nome, o quanto meno auspicata forse in una metafora dell’artista, per chiunque altro, dedito alla pulizia del bagno di casa, diventa semplicemente un obbligo imprescindibile.
O almeno così viene percepito dai più durante i martellanti intermezzi pubblicitari dei numerosissimi prodotti anti “calcare” venduti dalle svariate aziende che li commerciano come assolutamente necessari e, di conseguenza, usati a man bassa con lo scopo di annientare questo terribile nemico invisibile per rendere immacolati tutti i sanitari di ogni abitazione che si rispetti. Ma per sciogliere il “calcare”, mentre la scrivente usa abitualmente del comunissimo aceto con poche gocce di olio essenziale - peraltro perfettamente in grado di svolgere egregiamente questa funzione - ogni giorno vengono dispersi nell’ambiente quantitativi industriali di profumatissimi detergenti anti “calcare” con molta probabilità altamente inquinanti e inevitabilmente dannosi per la salute: un altro esempio del “green” tanto sbandierato al giorno d’oggi ma che, alla fine, non sembrerebbe essere una buona pratica quotidiana.
Il “calcare” entra comunque anche in ambito legislativo in quanto la normativa italiana impone il trattamento dell’acqua, mediante l’installazione di addolcitori, di alcuni impianti termici al fine di prevenirne la formazione.
Appurato che il “calcare” è innanzitutto un composto di minerali, l’etimologia del termine, attraverso il francese calcaire deriverebbe dal latino calcarius, cioè “relativo alla calce”. Trattandosi quindi di una roccia sedimentaria può essere usata in diversi settori industriali e dell’edilizia. Da qui, l’importanza di un coinvolgimento in ambito geologico e chimico per studiarne la presenza, la composizione e le eventuali possibilità di estrazione senza però trascurarne l’impatto ambientale.
Colpisce la bellissima definizione data da Fabio Catino, all’interno dell’Enciclopedia per ragazzi della Treccani, che definisce il calcare “una roccia che si porta dentro l’eco della vita”.
Ed altrettanto belle si rivelerebbero alcune delle differenti tipologie di queste rocce che fin dai tempi passati vengono impiegate anche per ornare ed arredare l’esterno e l’interno degli edifici. In questo senso, tuttora la bravura e l’abilità, tradizionalmente riconosciute della nostra manifattura artigianale, risulterebbero indiscutibili sia per quanto riguarda il pregio estetico che per l’alta qualità dei materiali.
Tornando al perché della definizione di Fabio Catino, in ulteriori ambiti scientifici, quali quello paleontologico, lo studio delle rocce “calcaree” organogene e del loro contenuto fossilifero rappresenta un criterio fondamentale di valutazione nella determinazione degli eventi caratterizzanti la cronologia terrestre ed il succedersi delle diverse ere geologiche. Nel passare dalla “memoria” geologica del minerale al verbo “calcare” serve ricordarne la differente etimologia che nel secondo caso deriva dal latino calcare, da calx “tallone”.
“Calcare”, quindi, come calpestare, ma anche premere o imprimere.
Diversi modi di dire toccherebbero questa parola anche in senso figurato cosicché, nel “calcare le scene” il riferimento andrebbe a chi si esibisce in pubblico, magari a teatro, non solo nell’arte della recitazione ma anche della danza o del canto; mentre “calcando le orme” di qualcuno potremmo avere il desiderio di imitarlo.
Ma nel “ricalcare un disegno” è senz’altro meglio non “calcare la mano”.


