Bias inconsci e selezione del personale: quando l'intuito è un rischio per l'impresa
di Claudio Garau
L'illusione dell'intuito è un rischio sottovalutato, anche in fase di selezione del nuovo personale. Uno dei contributi più significativi alla comprensione del processo decisionale umano proviene dagli studi di Daniel Kahneman (Nobel per l'economia) e del matematico e psicologo Amos Tversky, che - a partire dagli anni '70 - hanno messo in discussione l'idea che l'uomo sia un decisore razionale. Le loro ricerche sulla mente umana hanno evidenziato come il nostro cervello faccia spesso ricorso alle cosiddette euristiche, scorciatoie mentali rapide ma imprecise e tali da condurre a bias cognitivi. Semplificano il pensiero, ma generano errori sistematici di giudizio.
I due scienziati hanno spiegato che, fin dai tempi più antichi, la capacità di decidere velocemente in assenza di informazioni certe e in situazioni precarie - se non minacciose - ha supportato l'evoluzione umana. Il rischio è però evidente, perché questi meccanismi, oggi, rischiano di compromettere l'efficacia delle organizzazioni a causa di distorsioni derivanti da fattori emotivi, sociali, esperienziali o da pregiudizi radicati.
Ecco perché i concetti in oggetto sono centrali anche nell'ambito della gestione delle risorse umane, in particolare nei processi di selezione dei candidati. Qui i bias inconsci possono pregiudicare la qualità delle scelte, generando discriminazioni involontarie, inefficienze organizzative e rischi per la produttività. Anche i recenti sondaggi invitano a riflettere: secondo Hays, multinazionale specializzata in reclutamento e selezione del personale, il 57 per cento dei professionisti intervistati ritiene che – durante una selezione – sia stato penalizzato per elementi di natura squisitamente personale (età, genere, etnia, ecc.).
Nel mondo aziendale, si dà spesso per scontato che le decisioni - specie quelle strategiche - siano il frutto di analisi razionali, dati concreti e valutazioni lucide. Ma non è così. Molti selezionatori continuano ad affidarsi al cosiddetto “fiuto” o “occhio clinico” per scegliere i candidati migliori. Ma le neuroscienze e la psicologia comportamentale dimostrano che queste sensazioni puramente “intuitive”, non sono totalmente affidabili. Anzi, sono spesso l'effetto di pregiudizi impliciti che operano al di fuori della consapevolezza e della razionalità di giudizio. Tra gli errori cognitivi più comuni anche nelle dinamiche aziendali, troviamo ad esempio l'”effetto ancoraggio”, che si palesa quando un selezionatore dà troppa importanza alla prima informazione ricevuta, utilizzandola come "ancora" e riferimento per tutte le decisioni successive.
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