Badge, crediti e piattaforme. La sicurezza nei cantieri diventa una giungla amministrativa
di Gabriele Silva
Ogni anno, in Italia, troppe persone non tornano a casa dal lavoro.
È un dato che dovrebbe fare tremare la politica e gli operatori economici.
Perché il lavoro è ciò che tiene in piedi una vita, non ciò che la deve spezzare.
Da questa consapevolezza nascono provvedimenti come quello contenuto nel decreto legge approvato ieri dal Governo su salute e sicurezza: più controlli negli appalti, badge digitali anticontraffazione, patente a crediti più severa, vigilanza ispettiva rafforzata.
Un disegno chiaro: non lasciare zone d’ombra nei cantieri, dove troppo spesso si annidano rischi, approssimazioni e illegalità.
Il fine è giusto. La strada scelta, ancora una volta, solleva interrogativi necessari.
Quando la sicurezza diventa un labirinto digitale
Ogni impresa che opererà in appalto o subappalto dovrà dotare i propri lavoratori di un badge digitale, collegato alla piattaforma SIISL. Uno strumento che permette di identificare il personale in cantiere in tempo reale, tracciando ingressi, presenze, movimentazioni.
Sulla carta è l’innovazione che mancava.
Nella pratica, occorre chiedersi chi dovrà far funzionare davvero questo sistema.
Perché l’Italia produttiva non è fatta da colossi con uffici compliance dedicati.
È fatta di imprese artigiane, micro e piccole aziende, dove l’imprenditore alle sette del mattino è sul ponteggio e alle sette di sera è ancora in cantiere.
E soprattutto è fatta di professionisti che ogni giorno si trovano a gestire ciò che “dovrebbe essere semplice”, ma raramente lo è.
La tecnologia, se pensata senza la realtà, si trasforma rapidamente in burocrazia digitale.
Patente a crediti: l’esperienza concreta conta più della retorica
Nel mio lavoro di consulente, la patente a crediti l’ho vista nascere e applicarsi da subito.
Portali non pronti.
Istruzioni che cambiavano a distanza di giorni.
Scadenze che si rincorrevano senza logica.
Le imprese mi chiedevano: “Qual è la regola oggi? Perché ieri era diversa?”
Quando la sicurezza si regge su un terreno così instabile, la conseguenza è pericolosamente semplice: l’adempimento diventa un tentativo, non una responsabilità.
Inasprire le penalizzazioni appare una scelta coerente rispetto alla gravità degli infortuni.
La domanda che dobbiamo farci è un’altra: aumentare le sanzioni riduce i rischi o aumenta solo la distanza tra legge e realtà?
Perché ciò che vediamo ogni giorno è che prima si abbatte sulle imprese un carico ingestibile, poi arriviamo noi professionisti a mettere ordine nei pezzi.
E talvolta, è già troppo tardi.
Sicurezza sì. Ma prima serve capacità di compliance
Non possiamo continuare a immaginare che la sicurezza si realizzi solo aggiungendo norme, badge, piattaforme, obblighi e sanzioni.
Perché una norma funziona solo quando chi la deve applicare ha gli strumenti per farlo.
Chi sale sui ponteggi non può diventare anche esperto di cybersecurity e interoperabilità dei sistemi informativi.
Chi dirige un’impresa con tre dipendenti non può trasformarsi in un amministrativista a tempo pieno.
La vera domanda politica è: vogliamo più sicurezza o vogliamo più adempimenti?
Perché, se puntiamo sulla seconda, non ci sarà algoritmo che riuscirà a proteggerci.
L’Italia che lavora ha bisogno di semplicità, non di ulteriori barriere
La sicurezza non si costruisce solo dal lato dei controlli.
Si costruisce:
semplificando i processi,
fornendo istruzioni chiare e stabili nel tempo,
premiando chi investe davvero in prevenzione,
non scaricando tutto sulle spalle delle imprese e dei loro consulenti.
Quando la normativa anticipa gli strumenti tecnici, l’esito è sempre lo stesso:
prima un impatto violento sulle aziende, poi una ricaduta immediata sulle scrivanie dei professionisti.
Serve una correzione di rotta.
Non nella direzione degli obiettivi, sempre più urgenti, ma nelle modalità con cui intendiamo raggiungerli.
Conclusione
La sicurezza deve essere un diritto quotidiano, non un ideale cartaceo.
Un badge digitale o una patente a crediti non valgono nulla se introducono un clima di sospensione permanente del lavoro, dove l’adempimento assorbe più energie della prevenzione.
Questa riforma può rappresentare un salto di qualità solo se si comprenderà che la vera innovazione non consiste nel moltiplicare gli obblighi, ma nel rendere possibile rispettarli.
Perché la vita non si protegge con la paura di una sanzione.
La si protegge con chiarezza, supporto, fiducia.
E con la consapevolezza che la sicurezza non nasce mai da un decreto:
nasce ogni mattina, quando una persona attraversa il cancello del proprio lavoro.


