Automazione e licenziamento: il futuro incerto del diritto al lavoro
di Claudio Garau
Il diritto al lavoro ha fondamento costituzionale nell'articolo 4: se, da un lato, la Repubblica promuove le condizioni che lo rendono effettivo, dall'altro, ogni cittadino ha il compito di svolgere, secondo le proprie possibilità e la propria scelta, un'attività che concorra al progresso della società.
In futuro, però, sarà ancora possibile ambire all'applicazione estesa del principio costituzionale? Oppure la rivoluzione tecnologica rischia concretamente di annullare garanzie occupazionali e traguardi raggiunti da lotte sindacali e contratti collettivi?
Una ricerca del FMI presentata all'ultimo World Economic Forum ha spiegato che circa il 60 per cento dei posti di lavoro si dovranno in futuro confrontare con strumenti AI, e che l’introduzione delle intelligenze artificiali potrebbe tradursi in calo della domanda di lavoro e conseguente riduzione degli stipendi. Non è esclusa la scomparsa di alcune professioni, alimentando diseguaglianze economiche e nuove tensioni sociali.
Sulla stessa linea d'onda un'analisi Goldman Sachs: l'AI sarà in grado di incrementare del 7 per cento il PIL globale, ma con il rischio di perdere ben 300 milioni di posti di lavoro. Il fine della crescita globale, della maggior produttività e della riduzione dei costi, giustifica i mezzi? E in riferimento all'Europa quali prospettive ci sono? In Italia che cosa ci si può aspettare?
Nell'estate 2024, l'UE ha adottato il regolamento 1689/2024 - l'AI Act - al fine di assicurare che i sistemi AI utilizzati nel continente siano sicuri, usati eticamente e rispettino i diritti fondamentali. Bruxelles sostiene che l'AI può portare non pochi benefici, come ad esempio una migliore assistenza sanitaria, trasporti più sicuri, una produzione più efficiente e un'energia più sostenibile.
Il regolamento 1689/2024 introduce anche regole per l’uso dell’AI, classificandola in base ai rischi. Tra le applicazioni a "rischio alto" i sistemi AI utilizzati per l’assunzione, il licenziamento o la gestione dei dipendenti: le aziende dovranno perciò garantire trasparenza e supervisione umana.
Nella stessa ottica, l'articolo 22 del GDPR vieta decisioni del tutto automatizzate, che abbiano effetti significativi sulle persone - come il licenziamento o la valutazione delle performance lavorative - a meno che non siano previste garanzie ad hoc. Un principio che potrà limitare l’uso incontrollato dell’AI nelle aziende.
In Italia l'automazione è giustificata come una inevitabile evoluzione tecnologica, ma il sistema normativo interno non appare in grado – almeno al momento - di tenere il passo e di garantire davvero l'equilibrio tra progresso e tutela sociale. In ipotesi di crisi e ristrutturazioni aziendali, nel quadro del D. lgs. 148/2015 troviamo strumenti come CIGS e contratti di solidarietà, ma – a ben vedere – non appaiono potenzialmente in grado di offrire soluzione a chi sarà definitivamente sostituito dalle macchine.
Per l'articolo 3 della legge n. 604 del 1966 è possibile licenziare per giustificato motivo oggettivo e - in riferimento all'AI - le aziende potrebbero recedere unilateralmente per ragioni economiche, anche per sostituzione con software automatizzati. E, se è vero che la normativa prevede l'obbligo di provare l'impossibilità di ricollocazione del dipendente (obbligo di repêchage), nella pratica i datori trovano spesso vie per aggirare questa condizione (salva la contestazione del licenziamento in tribunale). Anche nei licenziamenti collettivi le aziende spesso si limitano a una liquidazione economica, senza un vero percorso di outplacement. Le zone grigie, insomma, non mancano.
In sostanza, il rischio vero è quello di una nuova categoria di lavoratori, gli “esclusi tecnologici”, ossia persone espulse dal mercato senza possibilità di riconversione. Una “quarta rivoluzione industriale” che rischia di diventare una catastrofe sociale.
Per evitarla, la risposta normativa del legislatore dovrà puntare a nuove forme di welfare per chi perde il lavoro, a programmi di reskilling e upskilling e alla trasparenza algoritmica da parte delle aziende - in merito ad assunzioni, valutazioni e licenziamenti - ma dovrà anche sollecitare la supervisione umana in ogni futura decisione lavorativa basata sull’AI - onde evitare discriminazioni o errori. Ancora, per legge sarà auspicabile introdurre un divieto di sostituzione completa dell'AI in aree in cui l’intervento umano serve a garantire sicurezza, etica e qualità del servizio.
A ben vedere, anche la riduzione della settimana lavorativa mantenendo salari adeguati, potrà meglio distribuire il lavoro tra umani e AI. Del pari, sarà auspicabile il sostegno all’imprenditorialità delle start-up che sfruttano l’AI senza eliminare posti di lavoro umani, come pure la creazione di un'autorità di vigilanza sull’AI, al fine di valutare la conformità delle aziende alle leggi e intervenire in caso di abusi (ad es. licenziamenti automatizzati illegittimi).
Quel che è certo è che l'obiettivo dovrà essere l'equilibrio tra innovazione tecnologica e tutela del diritto al lavoro, evitando un’automazione selvaggia che porti a disoccupazione di massa e sfruttando – anzi - al meglio i vantaggi dell’AI per migliorare produttività e qualità della vita lavorativa.
Se continuassimo a lasciare che il mercato decida in autonomia, accetteremmo implicitamente che il valore del lavoro umano sia inferiore a quello di un algoritmo. E allora la vera domanda è: vogliamo davvero vivere in un mondo dove il progresso esiste solo per chi lo si può permettere? Ovviamente no. L'adeguamento normativo è una missione impossibile? Assolutamente no, perché l'AI Act europeo ha tracciato la via.