Apple e l’intelligenza artificiale: una sfida inaspettata al dominio di Google
di Clizia Cacciamani
Nel contesto del processo antitrust intentato dal Dipartimento di Giustizia statunitense contro Google, è emerso un protagonista inatteso nella discussione sul futuro della ricerca online: l’intelligenza artificiale generativa. A sottolinearne il potenziale rivoluzionario è stato Eddy Cue, vicepresidente senior dei servizi Apple, chiamato a testimoniare per difendere l’accordo da 20 miliardi di dollari che rende Google il motore di ricerca predefinito su Safari.
Occorre sapere che Apple riceve ogni anno miliardi di dollari da Google per mantenere il suo motore di ricerca come impostazione predefinita sui dispositivi dell’ecosistema Safari. Questo accordo è stato considerato dal giudice statunitense Amit Mehta come uno degli strumenti principali con cui Google ha mantenuto un controllo dominante sul mercato della ricerca. Per il Dipartimento di Giustizia americano tali intese rappresentano una barriera all’ingresso per nuovi concorrenti, in violazione delle norme anti-trust.
Google, pur avendo presentato ricorso, propone rimedi limitati: vorrebbe mantenere l’accordo con Apple, ma offrendo a quest’ultima maggiore flessibilità contrattuale. Il Dipartimento di Giustizia statunitense, invece, suggerisce rimedi strutturali, tra cui la condivisione obbligatoria dell’indice di ricerca di Google con altri operatori e la separazione del browser Chrome dalle altre attività dell’azienda.
Nel corso del giudizio, è significativo che Eddy Cue, però, ha portato all’attenzione un aspetto meno giuridico e più tecnologico: l’evoluzione dell’AI generativa, che a suo dire rappresenta una minaccia potenzialmente più efficace al monopolio di Google rispetto a qualsiasi sentenza.
Cue ha evidenziato come, per la prima volta in oltre vent’anni, Apple stia registrando un calo nel volume di ricerche effettuate tramite Safari.
Ciò avviene perché un numero crescente di utenti si rivolge direttamente ai chatbot AI per ottenere risposte immediate, saltando del tutto il passaggio attraverso un motore di ricerca tradizionale.
“Startup ben finanziate stanno facendo progressi sorprendenti”, ha dichiarato Cue, “tanto da poter cambiare le regole del gioco molto più rapidamente di quanto possa fare un’azione legale.”
Nonostante le parole di apertura all’innovazione, Apple resta economicamente vincolata all’accordo con Google. Cue ha ammesso apertamente di essere preoccupato all’idea di perdere quella fonte di guadagno, in quanto Google resterebbe comunque la prima scelta degli utenti – ma senza generare ricavi per Apple.
Il vicepresidente Apple ha inoltre riconosciuto che l’accordo con Google ha probabilmente disincentivato la creazione di un motore di ricerca proprietario. In sostanza, Apple ha preferito concentrarsi su ciò che ritiene essere il proprio core business, piuttosto che competere frontalmente nel mercato della ricerca.
Ora Apple sta esplorando attivamente l’integrazione di funzionalità basate su AI nella propria esperienza di ricerca. Tuttavia, secondo Cue, queste tecnologie non sono ancora sufficientemente mature per sostituire i motori di ricerca tradizionali, ma potrebbero esserlo presto.
In particolare, la combinazione tra grandi modelli linguistici (LLM) e indici di ricerca – anche parziali – potrebbe dar vita a soluzioni nuove ed efficaci, capaci di intaccare l’egemonia di Google.
Cue ha giustamente messo in guardia dal giudicare il settore tech con le stesse lenti di altri mercati più statici, se non altro per la velocità di sviluppo e di cambiamento tecnologico. “Nel mondo della tecnologia, il vantaggio competitivo può svanire molto in fretta”, ha osservato, ricordando l’inesorabile declino di colossi del passato come HP, Sun Microsystems e Intel.
In chiusura della sua testimonianza, Cue ha espresso una visione pragmatica e ottimista: “Siamo fortunati, perché se non ci fosse l’AI, non saprei cosa potremmo fare.” In un settore dove il miglior prodotto domina finché non arriva qualcosa di meglio, l’intelligenza artificiale potrebbe rappresentare proprio quell’alternativa attesa da anni.
Non sarà il tribunale a sancire la fine del monopolio di Google, ma un chatbot.