Lo scenario degli studi professionali in Italia sta attraversando una profonda trasformazione. Le aggregazioni tra professionisti, una volta rare e limitate al contesto locale, si stanno moltiplicando, estendendosi su scala nazionale e coinvolgendo anche investitori industriali e finanziari, talvolta di provenienza estera. Tuttavia, a fronte di questa espansione strutturale ed economica, permane un elemento critico: la carenza di figure manageriali capaci di guidare e coordinare queste nuove realtà professionali maggiormente dimensionate e complesse.
La spinta verso l’aggregazione nasce da molteplici fattori: il passaggio generazionale dei baby boomers, l’aumento della complessità normativa, la digitalizzazione dei servizi, la richiesta di specializzazione e la pressione competitiva da parte di nuovi player, comprese le big firm e le startup legali e fiscali. Per reagire a questo contesto, molti professionisti scelgono di unirsi in forme associative più strutturate, dando vita a reti, società tra professionisti (STP), holding di partecipazione o veri e propri gruppi multi-sede.
In questo scenario, si osserva anche per la prima volta l’ingresso significativo di capitali esterni, italiani e stranieri. Sia attraverso investitori professionali interessati a integrare ulteriori sedi o servizi nei propri ecosistemi, sia tramite fondi di investimento attratti dalla redditività e dalla prevedibilità dei flussi degli studi ben gestiti.
Le nuove realtà aggregative continuano a essere governate prevalentemente da professionisti senior, spesso i fondatori, che mantengono un controllo diretto sull’organizzazione. Questo approccio, comprensibile sotto il profilo storico e culturale (le persone si fanno gestire solo da soggetti che ritengono più competenti), si rivela spesso inadeguato per strutture che richiedono logiche di management più spinte: pianificazione strategica, controllo di gestione, sviluppo organizzativo, gestione HR, marketing e innovazione dei processi.
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