Nel riflettere sul significato della parola “agricoltura”, diviene spontaneo il richiamo alle attività primarie dell’essere umano.
La coltivazione della terra, infatti, viene da sempre considerata come uno dei principali metodi di sostentamento dell’individuo e delle comunità da esso composte. Nel corso dei secoli, questa basilare pratica di sussistenza ha permesso lo sviluppo di importanti realtà, come città e Stati, in cui vivere e prosperare.
L’etimologia del termine, dal latino agricultura, composto da ager campo e cultura coltivazione, sta a significare proprio “coltivazione del campo”, in riferimento all’insieme delle tecniche utilizzate per la coltivazione e la raccolta dei vegetali, attraverso il lavoro della terra. In senso lato il suo significato include anche l’allevamento del bestiame.
Essendo strettamente legata alla produzione del cibo, questa attività risulta quindi di fondamentale importanza per il mantenimento della vita e del generale benessere.
Non di meno, anche dal punto di vista sociale e culturale, “l’agricoltura” riveste un ruolo di spicco in tutti quelli che sono gli accostamenti agli usi ed ai costumi dei diversi Paesi che la praticano. Il legame con il territorio spesso è rappresentato proprio dal tipo di produzione e di degustazione, di particolari prelibatezze, appartenenti ad una specifica zona d’origine. In Italia, grazie alle diversità climatiche e territoriali delle aree geografiche di coltivazione, le tipologie di cereali, ortaggi e frutta, risultano tra le più svariate e rinomate.
Tutto ciò rappresenta, in egual modo, anche un vantaggio per il patrimonio paesaggistico ed il mantenimento di particolari borghi e villaggi. Nella nostra penisola, l’organizzazione della pratica agricola e lo svolgimento della sua attività hanno permesso di creare nel tempo un prezioso equilibrio fra l’architettura ed il paesaggio, conosciuti e apprezzati anche nel resto del mondo.
L’essere umano, nella continua ricerca di affinare le proprie conoscenze, ha da sempre investito grandi energie nel settore “agricolo”, modificando e facilitando l’attività anche con l’uso di macchinari e strategie di difesa delle coltivazioni, dovute a periodiche condizioni climatiche sfavorevoli o all’aggressione di erbe infestanti e parassiti. L’ “agricoltura convenzionale”, nell’ipotetico obiettivo di massimizzare la produzione con il minor dispendio di energia possibile - ma anche attraverso l’uso (talvolta massiccio) della chimica - si contrappone alle tecniche di “agricoltura biologica” e “agricoltura biodinamica” che in alternativa si pregiano di usare metodi, sicuramente meno impattanti, sia per quanto riguarda il mantenimento della naturale fertilità del suolo e purezza delle falde acquifere che per quello che concerne le differenti strategie di difesa messe in atto dagli “agricoltori”. Nel caso “dell’agricoltura biologica”, il rispetto delle tradizioni millenarie del settore va di pari passo con la ricerca scientifica, specialmente legata alla riscoperta di alcune sostanze naturali, usate contro i parassiti, ma che non danneggiano le colonie di api e, di conseguenza, gli apicoltori.
Scienziati e autori di rilevanza, come l’australiano Bill Mollison (biologo e naturalista) ed il giapponese Masanobu Fukuoka (botanico e filosofo), hanno studiato e sperimentato “sul campo” tecniche “agricole” che indubbiamente si intrecciano con quella biologica e altresì con quella biodinamica.
Mentre Fukuoka viene ricordato come il pioniere “dell’agricoltura naturale” e della tecnica del “non fare”, spiegata approfonditamente nel suo libro “La rivoluzione del filo di paglia”; Mollison può essere definito il padre della “Permacultura”, altrettanto esaustivamente illustrata in uno dei suoi libri: “Introduzione alla Permacultura” - scritto a quattro mani con Reny Mia Slay - e in cui si delinea l’arte di coniugare la pratica “agricola” a discipline come la bioarchitettura, l’economia, l’ecologia, la botanica e la selvicoltura, nella progettazione di aree strutturate in armonia con la natura.
Purtroppo, da diverso tempo, si sta invece assistendo ad una graduale regressione e mancanza di sensibilità rivolta al settore “agricolo”. Nel nostro Paese, un esempio riguarda l’abbattimento di ulivi secolari, attuato con marcata aggressività e superficialità, che molto probabilmente ha provocato irreparabili danni, non solo alla generale salute dell’ambiente (rilevante anche a livello di impatto geografico), ma ha ulteriormente inferto un durissimo colpo all’intero comparto economico.
Una immediata inversione di rotta forse dovrebbe porre l’accento sull’importanza di salvaguardare le “antiche cultivar” o “varietà antiche” - anche in riferimento alle sementi - come risorse insostituibili che, se non protette e tutelate, andrebbero inevitabilmente perse per sempre e, con loro, un’importante porzione di storia.
Concludendo, non andrebbe mai dimenticato che, proprio - la storia - della nostra “agricoltura”, intrecciata nei millenni all’intera vita delle comunità, riassume e rappresenta una perfetta sintesi del nostro intero passato.