Accertamenti conseguenti ad indagini finanziarie: presunzione semplice anche per la Cassazione?
di Alessandro Borgoglio
La Suprema Corte di Cassazione ha passato gli ultimi decenni a stabilire – in modo univoco – che le risultanze dei conti correnti bancari, analizzate dal Fisco in sede di indagini finanziarie, integrano una presunzione legale relativa di disponibilità di maggior reddito (tra le ultime, Cass. 11939/2025, 18885/2024, 1779/2024), per cui l’Erario null’altro è tenuto a dimostrare; sicché, al fine di superare la presunzione a favore dell’Erario, non è sufficiente una prova generica circa ipotetiche distinte causali dell’affluire di somme sul conto corrente, ma è necessario che il contribuente fornisca la prova analitica della riferibilità di ogni singola movimentazione alle operazioni già evidenziate nelle dichiarazioni, ovvero dell’estraneità delle stesse alla sua attività (tra le ultime, Cass. 13761/2025, 9681/2025, 5007/2025).
Questa è sempre stata la lettura offerta dai Giudici del Palazzaccio circa l’articolo 32, comma 1, numero 2), secondo periodo, del Dpr 600/1973, per il quale i dati e gli elementi attinenti ai rapporti e alle operazioni finanziarie sono posti a base delle rettifiche e degli accertamenti previsti dagli articoli 38, 39, 40 e 41 se il contribuente non dimostra che ne ha tenuto conto per la determinazione del reddito soggetto a imposta o che non hanno rilevanza allo stesso fine; alle stesse condizioni sono altresì posti come ricavi a base delle stesse rettifiche e accertamenti, se il contribuente non ne indica il soggetto beneficiario e sempreché non risultino dalle scritture contabili, i prelevamenti o gli importi riscossi nell’ambito dei predetti rapporti od operazioni per importi superiori a euro 1.000 giornalieri e, comunque, a euro 5.000 mensili (analoghe norme sono previste ai fini dell’IVA dall’articolo 51, comma 2, numero 2), del Dpr 633/1972).
In dottrina si è affermato che, invero, gli “accertamenti bancari” non esistono, in quanto le norme sopra riportate si limitano a dettare le regole di funzionamento delle “indagini finanziarie” sotto il profilo accertativo, ovvero a indicare che i risultati delle analisi delle movimentazioni bancarie (banalmente, prelievi e versamenti) devono poi essere correttamente traslati nell’attività accertativa di cui agli articoli 38, 39, 40 e 41 del Dpr 600/1973 (per le imposte sui redditi) e 54 e 55 del Dpr 633/1972 (ai fini Iva).
Tornando al consolidato orientamento di legittimità sopra ricordato, nel tempo si è avuta qualche rara eccezione, come quando qualche anno fa è stato stabilito che, in via di principio, è consentito all’Amministrazione finanziaria di rettificare su basi presuntive la dichiarazione del contribuente utilizzando i dati relativi ai movimenti su conti bancari dallo stesso intrattenuti, «ma la presunzione semplice … circa l’omessa sottrazione di ricavi conseguiti, correlata agli accertati prelevamenti e versamenti, operati sui conti correnti bancari, deve ritenersi superata qualora tali voci siano state regolarmente contabilizzate e lo stesso contribuente, come suo onere, fornisca giustificazioni in ordine al transito ed al conteggio in contabilità dei dati in questione» (Cass. 20132/2021).
Anche in questi giorni la Suprema Corte è tornata sulla questione, con un arresto, anch’esso dissonante rispetto al consolidato filone di legittimità, con cui ha stabilito, innanzitutto, che la rilevanza probatoria delle movimentazioni bancarie non viene meno laddove il Fisco proceda con aggregazioni di dati omogenei, ottenendo delle rappresentazioni delle movimentazioni bancarie attraverso “masse” omogenee di movimenti; ma, soprattutto, ha stabilito che «Le risultanze delle indagini bancarie costituiscono di per sé stesse indizi probatori capaci di assurgere a presunzioni semplici, capaci di ribaltare l’onere della prova in capo al ricorrente, che è chiamato a fornire prova specifica per ogni movimento o “masse” omogenee di movimenti bancari, tale da vincere la presunzione legale di maggior reddito occulto», spettando al «contribuente superare la presunzione legale (semplice) per cui ogni movimento bancario è indice di attività imponibile» (Cass. 18273/2025).
Al di là della infelice espressione «presunzione legale (semplice)» (o è legale o è semplice), pare di comprendere che secondo la Sezione giudicante le presunzioni che assistono le indagini finanziarie non siano legali relative, ma semplici. Se così è, però, il contribuente non è tenuto a fornire una prova (piena) puntuale a analitica per tutti i movimenti (o – adesso sappiamo – anche “masse di movimenti”), come reiteratamente stabilito dalla Suprema Corte, ma è sufficiente che contrapponga a questa un’altra presunzione semplice, per cui sarà poi il giudice di merito a valutare, con il suo prudente apprezzamento, la maggiore capacità probatoria dell’una o dell’altra.
Come già accennato, però, quelle da ultimo citate sono “sentenze flash”, che durano il tempo di un lampo nel buio nell’orientamento di legittimità pressoché monolitico, per cui le presunzioni in oggetto sono da ritenersi legali relative – perlomeno secondo l’indirizzo citato – e, quindi, è il contribuente che deve contrapporre al mero dato della movimentazione bancaria offerto dal Fisco la prova “puntuale” che quell’operazione è irrilevante ai fini reddituali.